L’assassinio di Ismail Haniyeh è stato possibile “perché c’è stata una debolezza importante nel sistema difensivo delle guardie rivoluzionarie iraniane”. Lo dice alla RSI Ely Karmon, politologo dell’Istituto internazionale per l’antiterrorismo, un think-tank conservatore che è parte della Reichmann University di Herzliya (Israele).
L’ex capo politico di Hamas aveva soggiornato diverse volte nel palazzo dove è stato ucciso. Chiunque abbia eseguito l’operazione, aveva a disposizione “informazioni molto precise”. Cosa sia successo esattamente non è chiaro e gli stessi iraniani non hanno fornito spiegazioni chiare. Haniyeh sarebbe stato colpito da un razzo, sparato non si sa da dove, oppure è rimasto ucciso nell’esplosione di una bomba che potrebbe essere stata piazzata anche molto prima. Qualunque sia stata la dinamica, la valutazione di Karmon è chiara: “il livello di penetrazione raggiunto [dagli autori dell’attentato] è stato molto importante”.
L’Iran ha immediatamente puntato il dito contro Tel Aviv e anche diversi funzionari statunitensi vedono la mano dell’intelligence israeliana. È uno scenario verosimile. Già in passato Israele ha dato prova di una tale capacità operativa. “Nel 2010 ha assassinato cinque fisici nucleari iraniani”, mentre nel 2022 e 2023 è riuscito a interrogare tre ufficiali dei Pasdaran, estorcendo diverse confessioni. “Tutto questo dimostra che è riuscito a costruire una rete molto efficace”.
Ma se l’intelligence dello Stato ebraico è capace di orchestrare operazioni cosi ardite, come spiegare poi fallimenti clamorosi, come il non avere anticipato l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso? In quel caso, afferma ancora Karmon, “non sono state prese in considerazione le fonti umane [ovvero gli informatori]. Negli ultimi anni, invece di lavorare come in passato con tali fonti, i militari si sono concentrati sempre di più sull’uso della tecnologia”.
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Radiogiornale 02.08.2024, 12:30
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