Budapest pullula di manifesti elettorali del partito di Governo Fidesz. Sopra però non ci vedrete Orbán. Ma Péter Márki-Zay, il leader dell’opposizione, l’uomo che il premier ungherese oggi teme di più e la sua ossessione. Denigrato, indicato come l’uomo del ritorno al passato, alla povertà e alla guerra.
Sindaco di una città dal nome impronunciabile a circa 2 ore d’auto dalla capitale Budapest, Márki- Zay – quarantanovenne politico indipendente - è stato in realtà l’uomo capace di unire sotto l’egida di Uniti per l’Ungheria partiti di diversa estrazione: ambientalisti, moderati, nazionalisti, socialdemocratici. Accomunati dall’obiettivo di mettere fine all’era Orbàn, dodici anni in cui il premier ha radicalmente trasformato l’Ungheria a sua immagine e somiglianza, andando a incidere su quasi ogni aspetto della vita del Paese: dal potere giudiziario ai meccanismi elettorali, dalla politica migratoria al panorama mediatico, dalla cultura al mondo dei diritti LGBT, ancora domani in gioco in un referendum sull'educazione sessuale a scuola e l'esposizione a contenuti sessuali considerati dannosi per i bimbi.
I sondaggi danno Fidesz ancora in stretto vantaggio, complice una guerra in Ucraina che ha rafforzato Orbán. Il suo pragmatismo politico, alla ricerca di un equilibrio tra Europa e Russia, è stato però criticato dalla comunità internazionale, dall’opposizione e gli è costato qualche frizione con la Polonia, uno dei più stretti alleati dell’Ungheria contro il centralismo dell’Unione europea.
La rivoluzione illiberale è dunque arrivata al termine?