Il Parlamento UE ha approvato mercoledì mattina la nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, con una maggioranza di 370 voti favorevoli, 282 contrari e 36 astensioni. Questo risultato, pari al 51,39% degli aventi diritto, rappresenta il peggior esito di sempre nella storia delle approvazioni delle Commissioni europee. Il voto ha infatti evidenziato divisioni interne sia tra i gruppi parlamentari di destra che di sinistra.
“La nostra libertà e la nostra sovranità dipendono più che mai dalla nostra potenza economica”, ha affermato nel suo discorso programmatico la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, promettendo che il primo grande passo del suo secondo mandato sarà incentrato sulla competitività. Ma ha anche insistito sulla difesa, affermando che l’Europa deve investire maggiormente per rivaleggiare la Russia: Mosca “spende il 9% del PIL per la difesa, l’UE l’1,9%”, ha detto.
Per il nuovo Esecutivo dei Ventisette, in carica da inizio dicembre, prevale un sentimento di urgenza: pesa l’ombra di Donald Trump che da gennaio tornerà alla Casa Bianca, con una duplice minaccia, quella di una guerra commerciale a suon di dazi e quella di un disimpegno progressivo di Washington dall’Ucraina, una crisi la cui gestione ricadrebbe a quel punto interamente sulle spalle di Bruxelles.
Ma nonostante questa urgenza, la nascita della nuova Commissione a ormai quasi sei mesi dalle elezioni di giugno è stata un parto difficile. C’è stata a lungo battaglia sui nomi, prima che i popolari (centro-destra, il gruppo più numeroso), centristi e socialdemocratici raggiungessero un accordo che permetterà la conferma di tutti i commissari proposti. Compresi quindi l’italiano Raffaele Fitto, contestato a sinistra perché membro di Fratelli d’Italia, il partito di destra della premier Giorgia Meloni, e la socialista spagnola Teresa Ribera, attaccata dal PPE per la gestione dell’alluvione di Valencia. Entrambi oltre al proprio portafoglio (rispettivamente coesione territoriale per il primo, transizione ecologica e concorrenza per la seconda) saranno fra i vicepresidenti. Altro volto nuovo, quello dell’ex premier estone Kaja Kallas, nuova responsabile della diplomazia.
Nel dibattito parlamentare prima del voto di oggi, i socialisti hanno ribadito che il loro sì “non è un assegno in bianco” per von der Leyen. Di fronte all’inclusione di Fitto (e dell’ungherese Oliver Varelyi, fedelissimo di Viktor Orban) ma anche ad alcune decisioni adottate in questi mesi da Strasburgo, i Verdi si sono invece chiamati fuori, negando il proprio appoggio.