Stas Wojciechowicz è il giovane rabbino della sinagoga Ec Chaim, una delle due legate alla Comunità ebraica di Varsavia. L’altra è la sinagoga Nożyk. Le differenze tra i due edifici di culto non sono poche. La Nożyk è rimasta in piedi durante la guerra, ed è una sinagoga di rito ortodosso. La Ec Chaim si trova all’interno di un grande palazzo del centro, preso in affitto, ed è di rito progressista. In altre parole, e volendo sintetizzare molto, Wojciechowicz e la sua comunità di fedeli interpretano il giudaismo in modo meno rigido, cercando di coniugarlo con la modernità.
Ma quanto sono religiosi gli ebrei di Varsavia? Verrebbe da dire molto. Del resto, la loro è una comunità rinata, dopo l’ecatombe dell’Olocausto e i tempi difficili del comunismo, durante i quali gli ebrei furono marginalizzati. E capita spesso che una comunità, quando rinasce, attinga il più possibile dalla tradizione. Anche da quella religiosa. In realtà non è così. Gli ebrei di Varsavia sono per lo più laici, come lo erano prima della guerra, anche se dal 1989 è indubbiamente in corso un rinnovamento della vita religiosa ebraica, che a un certo punto era praticamente scomparsa.
Ed essere rabbino in Polonia? Cosa significa? È ben diverso dal resto del mondo. Perché qui il peso della Storia si fa sentire. Anche troppo. Ci sono di continuo cerimonie legate alle commemorazioni dell’Olocausto, e nemmeno in Israele si ha questa intensità. Però, se da un lato c’è una certa pressione, dall’altro – sottolinea Wojciechowicz – è importante essere qui e ricostruire una comunità che fu completamente distrutta.
Matteo Tacconi
N.d.R.: Questa è la seconda di quattro storie (le prossime saranno online il 19 e 26 gennaio) sugli ebrei di Varsavia che anticipano e completano un reportage di circa 20 minuti che andrà in onda su LA1 sabato 27, alle ore 12.00, per la trasmissione Segni dei Tempi.