Tutto è pronto, in Catalogna, per la campagna elettorale che prenderà ufficialmente il via il 5 dicembre. Indipendenza e secessione resteranno un sogno per questa regione europea? Verosimilmente sì. E se così non fosse per l'Europa non sarebbe certo una buona notizia. I motivi nell'analisi del prof. Christian Giordano*
L'attuale tranello del secessionismo tra illusioni e realtà
I principi dello Stato nazionale si sono ormai diffusi in Europa, ma anche nel mondo intero. Oggi l’aggettivo internazionale presuppone l’esistenza a livello globale di Stati nazionali. Basti pensare alle organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e le sue varie istituzioni nelle quali si può essere membri solo se si è riconosciuti internazionalmente come Stati nazionali.
Stato, territorio, nazione
Tali comunità politiche nazionali erano e ancora oggi sono spesso considerate come omogenee sia etnicamente che culturalmente. Si dava quindi per scontato che il principio fondante fosse quello della congruenza tra Stato, territorio e nazione e che questa concezione teorica fosse divenuta una realtà. Tale visione si è rivelata assolutamente illusoria. Infatti, ancora oggi è difficile trovare uno Stato nazionale che corrisponda a questo ideale. Ogni Stato nazionale ha più scheletri nell’armadio ovvero: minoranze etniche, culturali e religiose. Quando gli Stati nazionali furono creati questa reale diversità non fu tenuta in considerazione. Anzi, essa fu negata o sottovalutata. Di conseguenza fu nascosta come qualcosa di cui ci si doveva vergognare. Per ovviare a questo difetto furono escogitate strategie di assimilazione più o meno forzata. Si pensi a certe campagne di nazionalizzazione linguistica in certe regioni italiane di lingua tedesca, slovena e croata. Un altro esempio è il mancato riconoscimento delle lingue non nazionali come il macedone, l’albanese o il turco nelle regioni linguisticamente minoritarie come in Grecia.
Le strategie di assimilazione
Vi sono però strategie molto più radicali come lo scambio di popolazioni che è spesso il risultato di una per così dire elegante trattava diplomatica che è, in definitiva, un’imposizione da parte di potenze straniere. In tal senso sono emblematici i casi di scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia e tra Romania e Bulgaria nel periodo tra le due guerre mondiali. Inoltre bisogna menzionare certe politiche di immigrazione etnica pianificata che avevano come scopo la russificazione dei paesi baltici (Lituania, Lettonia, Estonia). Da non dimenticare sono le sistematiche espulsioni pianificate di gruppi etnici e religiosi. La pulizia etnica e il genocidio sono stati i fenomeni più drammatici e più sanguinosi perpetrati da regimi caratterizzati da forme di nazionalismo radicali (Germania nazista e Ex-Jugoslavia) nell’intento di creare stati e società nazionali monoetniche.
Nuovi equilibri in vista?
Dopo queste riflessioni poco tranquillizzanti dobbiamo chiederci se le attuali tendenze secessioniste rappresentino una soluzione ai problemi di convivenza tra comunità minoritarie e nazione titolare. Un tale nuovo assetto risultato da secessioni (come la Catalogna), indipendentismi (come la Scozia), regionalismi (come l’Italia settentrionale leghista) sarebbe veramente meno conflittuale di quello attuale? Io credo di no. Il perché è abbastanza evidente.
Infatti, questi nuovi Stati si organizzerebbero nuovamente sul principio dell’ethnos e non del demos come gli attuali Stati nazionali di origine sette- e soprattutto otto- centeschi. Le nuove élites politiche, forse ancora più nazionaliste di quelle precedenti, non sarebbero in grado di realizzare il loro ideale e cioè delle società monoetniche fondate sul teorema uno Stato, una nazione, un territorio. Ciò a causa delle rimanenti diversità etniche, linguistiche e religiose. Gli ipotetici nuovi Stati indipendenti (come la Catalogna, la Scozia, ma forse anche la Transilvania) non potrebbero divenire monoetnici poiché avrebbero a che fare con i vecchi gruppi etnici ereditati dal passato e con nuove minoranze, eventualmente composte da immigrati arrivati da lungo tempo. In definitiva questi nuovi secessionismi, indipendentismi e regionalismi sono una specie di déjà vu su scala ridotta dei vecchi Stati nazionali e quindi una riedizione degli annosi problemi connessi con il riconoscimento della diversità. I nuovi Stati nazionali, risultati dalla secessione, sarebbero confrontati con gli stessi problemi di quelli precedenti. Per l’Europa ciò sarebbe un paradossale ritorno alla casella di partenza e un nuovo fallimento.
Christian Giordano*
*Professore emerito di antropologia sociale all’università di Friborgo, Dr. honoris causa delle università di Timisoara (Romania) e Tibilisi (Georgia). Attualmente è professore invitato presso le università di Kaunas (Lituania), Bucarest (Romania) e Bydgoszcz (Polonia). Ha insegnato anche presso la University of Malaya (UM) di Kuala Lumpur e presso la Russian State University of Humanities (RGGU) di Mosca.