La battaglia per la liberazione di Mosul è entrata nella sua fase finale, la più difficile. Sono passati tre anni da quando le milizie dell'IS (Islamic State) hanno conquistato la città e Abu Bakr al-Baghdadi si è presentato al mondo come califfo. L'IS resiste nel centro di Mosul, occupando l'imponente struttura dell'ospedale, mentre l'avanzata dell'esercito iracheno viene rallentata dai cecchini e dalle autobombe. Il prezzo maggiore lo pagano i civili, usati come scudi umani. Le forze terrestri dell’esercito iracheno, che ricevono supporto aereo dalle truppe statunitensi, stimano la presenza di ancora cinquecento miliziani del califfato nero. Il centro della città è spettrale, vuoto, con i soldati iracheni ad occupare vecchi edifici ed i cecchini dell’IS nascosti negli ultimi tre quartieri nelle loro mani. I rifugiati nei campi appena fuori città testimoniano di esecuzioni pubbliche, bimbi armati e nemici arsi vivi.
"Daesh - l'IS - inizialmente era ben visto, prometteva una vita facile. Sono poi diventati aggressivi, feroci. Ho visto ammazzare anche un bambino di sei giorni", racconta un ragazzino con la maglietta gialla e forse 10, 11 anni di vita sulle spalle. E mentre lui racconta, circondato - nel campo profughi - da altri ragazzini e ragazzine come lui, i botti delle bombe al fosforo, lanciate sul centro della città, continuano a riecheggiare, qui, alle porte di Mosul.
Lorenzo Giroffi