The Journey, film del regista Mohammed al-Daraji, prodotto del 2017 e finalista al Toronto Film Festival, è diventato il simbolo della moderna renaissance del cinema iracheno, finalmente pronto a produrre un long movie con una produzione nazionale e a spingerla nelle competizioni internazionali. Eppure, il cinema in Iraq non è una novità, considerato che il Paese ha una lunghissima tradizione nelle arti, con il primo film in bianco e nero proiettato nel 1909 e una scuola d’arte e corsi universitari di cinema. Già dal 2012 l’Iraq aveva riaperto il Paese alle competizioni cinematografiche internazionali con il Baghdad International Film Festival (BIFF) Ma prima del 1991 l’Iraq aveva ben 275 sale: l’embargo successivamente imposto contro il regime di Saddam bloccò l’importazione delle pellicole vergini e rese impossibile la produzione locale.
Oggi, la produzione cinematografica irachena indipendente è molto varia, in uno scenario vivacissimo, che va dai film girati con gli iPhone, con temi più politici e prodotti home made da studenti delle università di Baghdad o di Suleymania, a film in costume con un minimo di budget. E i festival si moltiplicano, al punto tale da apparire anche in una città molto conservatrice come Karbala, cuore della spiritualità sciita. Così, l’Al-Nahj film festival, sponsorizzato da Karbala tv e finanziato dall’ente del Santuario di imam Hussein a Karbala, giunge alla sua quarta edizione con ambizioni internazionali e fa vincere Mary Mother dell’afghano Sadam Wahidi, una storia drammatica e ironica allo stesso tempo, ambientata a Kunduz e girata con maestria e poesia. Ma ciò che rende questo festival lo specchio dei trend culturali del Paese, al netto delle 30 pellicole in concorso da 30 Paesi, sono i film iracheni in concorso: la maggior parte corti di fiction di tema epico, ma anche alcuni documentari che hanno quasi sempre i soldati iracheni per protagonisti e moltissimi film di animazione.
Hussein al-Hani, direttore del festival e program producer di Karbala tv, spiega perché: “Isis è stata sconfitta dal nostro esercito e dalle milizie popolari, le cosiddette PMU. Per noi queste persone sono eroi: molti hanno perso la vita e li celebriamo anche nel cinema”. Sulla predilezione degli iracheni per i film di animazione, aggiunge: “Ho 40 anni. Appartengo alla generazione cresciuta guardando cartoni animati giapponesi tradotti in arabo. Da noi erano popolarissimi. Dopo molti anni vissuti senza una reale industria cinematografica, i film di animazione sono stati il primo strumento a nostra disposizione: costi bassi, tanta fantasia, moltissimi giovani bravissimi nell’uso dei programmi 3D e nell’ideazione dei personaggi”. Al punto tale che il simbolo del festival, una sorta di genio della lampada (Aladdin) che però somiglia molto a un mullah sciita, ha interagito live con i veri presentatori del festival. Un vero e proprio caso di realtà aumentata a servizio dell’intrattenimento.
Laura Silvia Battaglia