#lameteospiegata

Un mondo connesso: la circolazione atmosferica globale

Che ruolo ha il sole? Cosa sono le macrocelle e perché ce ne sono tre? Chi ha svelato il mistero degli alisei? La tredicesima puntata de #lameteospiegata

  • 31 luglio 2023, 06:08
  • 5 febbraio, 19:03
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Perché ai tropici piove quasi tutti i giorni, come qui a St. Thomas sulle Isole Vergini americane? La risposta ce la dà la circolazione globale atmosferica

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Di: Dario Lanfranconi 

"Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?". Senza scomodare il matematico e meteorologo statunitense Edward Lorenz - così s’intitolava infatti una sua conferenza nel 1972 – il cosiddetto Effetto farfalla (Butterfly effect), parte della teoria del caos, può tornarci utile a introdurre il tema della tredicesima puntata de #lameteospiegata, la serie RSINews di approfondimenti meteorologici in collaborazione con MeteoSvizzera.

Rimanendo con lo sguardo all’intero globo, anche se sempre con un occhio alla scala locale, e con il nostro ormai più che rodato Cicerone Luca Nisi, parleremo infatti di circolazione atmosferica globale… e, come già imparato anche nelle scorse puntate, non c’è forse nulla di più interconnesso su scala planetaria proprio dell’atmosfera.

Che cos’è e cosa si intende con circolazione atmosferica globale?

Partiamo da lontano e proprio dalla scala globale, andando a caratterizzare e localizzare meglio la circolazione atmosferica: “In meteorologia e climatologia – spiega Luca Nisi – questo termine comprende tutti i meccanismi e i processi presenti nell’atmosfera terrestre, in particolare quella meteorologicamente attiva, ovvero la troposfera, per riequilibrare differenze di pressione e di temperatura. Quando infatti in natura abbiamo una situazione di disequilibro, con la presenza di gradienti, l’atmosfera cerca di riequilibrarli, principalmente tramite dei processi fisici. Nell’atmosfera meteorologica i gradienti termici barici (di pressione) vengono riequilibrati principalmente con uno spostamento di aria, in poche parole tramite le correnti e il vento”.

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Anche la ragione della presenza dei ghiacci vicino ai poli (qui in Groenlandia) passa per gli effetti della circolazione globale

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In meteorologia ci sono due gruppi principali della circolazione atmosferica: la circolazione generale, su scala planetaria che riequilibra le differenze termiche tra equatore e polo tramite 3 macrocelle (“le vedremo nel dettaglio in seguito” anticipa Nisi) e delle circolazioni su scala più piccola, da quella sub-continentale a quella locale. “Quest’ultime sono anche definite come circolazioni secondarie. La circolazione sub-continentale è causata dalla differenza termica tra continenti ed oceani: la crosta terrestre infatti assorbe molta più radiazione solare, si scalda maggiormente ed emette maggior radiazione infrarossa verso l’atmosfera rispetto alla superficie oceanica. Si crea così uno scompenso termico con appunto la formazione di gradienti (differenze, ndr) e dà vita ad una nostra vecchia conoscenza, ovvero la circolazione di Walker (vedi #lameteospiegata El Niño e La Niña). Questa circolazione è tipicamente stagionale e dà luogo per esempio ai monsoni. Le circolazioni locali infine, sono causate anch’esse da uno scompenso termico, ma su scala più piccola e infatti le conosciamo bene anche alle nostre latitudini. Possono essere causate dalla presenza di montagne, grandi laghi o mari, mentre i venti che tendono a riequilibrare questi disequilibri termici sono associati ai nomi delle brezze”. Ma su quest’ultime non sveliamo troppi dettagli: il vento sarà infatti uno dei protagonisti futuri della serie #lameteospiegata.

Il ruolo del sole, il motore di tutto, nella dinamica della circolazione globale

In tutto questo qual è invece il ruolo del Sole, la stella al centro del sistema solare da cui dipendiamo? “Da un punto di vista generale, la risposta a questa domanda è molto semplice: il Sole è il motore di tutte le circolazioni atmosferiche citate prima, da quelle su scala planetaria a quelle su scala più locale. Su larga scala dobbiamo pensare che l’irraggiamento sulla superficie terrestre ha un’intensità variabile, ovvero decresce con l’aumentare della latitudine. In poche parole: più ci spostiamo verso i poli e minore è l’intensità della radiazione solare. Per i più curiosi, in fisica c’è una norma che descrive questo aspetto: la legge di Lambert, che afferma come l'illuminamento prodotto da una sorgente su una superficie sia direttamente proporzionale all'intensità luminosa della sorgente e al coseno dell'angolo d’incidenza dei raggi luminosi, ed è inversamente proporzionale al quadrato della distanza dalla sorgente. Se applichiamo questa legge ai raggi solari che arrivano sulla Terra, possiamo osservare che: l’intensità luminosa del Sole è costante, mentre la distanza Sole-Terra è variabile a causa dell’orbita ellittica del nostro pianeta intorno alla sua stella, ma anche questa - se presa in un preciso momento istantaneo - è pure da considerare costante. L’unico parametro che varia notevolmente è quindi l’angolo d’incidenza dei raggi solari sulla superficie terrestre: perlopiù perpendicolare all’equatore, molto inclinato ai poli. Riassumendo e semplificando: più l’angolo d’incidenza si discosta dai 90° equatoriali e minore è l’irraggiamento. È anche per questo motivo che all’equatore fa caldo e al polo fa freddo!

L'isola tropicale di Cayo Zapatilla, panama LOGO.png

Caldo, tanto sole, tanta pioggia e vegetazione rigogliosa non mancano mai nelle zone tropicali, come sull'isola di Cayo Zapatilla a Panama

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Questo enorme scompenso termico viene quindi riequilibrato dalla circolazione atmosferica su larga scala: “Se la Terra non ruotasse anche sul suo asse, questo riequilibrio sarebbe fatto da correnti più o meno dirette dall’equatore ai poli. Ma la rotazione terrestre, combinata ad alcune proprietà fisiche (come per esempio la spinta di galleggiamento, che spinge l’aria calda – più leggera - a salire verso gli strati più alti dell’atmosfera) fanno sì che questo riequilibrio non sia una semplice corrente lineare tra equatore e polo nord ed equatore e polo sud, ma va a formare delle celle su larga scala, anche conosciute con il nome di macrocelle”.

Le macrocelle, cosa e quali sono

Scendendo in un maggiore dettaglio si può dire che lo spostamento dell’aria tra equatore e poli è descritto dal modello a tre macrocelle. Una macrocella rappresenta i moti circolatori su larga scala, stimolati dalle differenze sia termiche che bariche, che coinvolgono tutti gli strati della troposfera. “Sono descritte tre macrocelle di circolazione per ciascun emisfero e ognuna, oltre a essere dipendenti l’una dall’altra, ha delle proprietà ben definite. Sono identificate con tre nomi, partendo dalla più vicina all’equatore: la cella di Hadley, la cella di Ferrel e la cella polare”.

E in questo frangente è proprio quella di Hadley a interessarci maggiormente, perché è pure quella che ha dato la stura al primo modello circolatorio. “Il nome risale a uno scienziato inglese, George Hadley, avvocato e meteorologo del 18° secolo. Hadley, cercando di capire la causa dei venti alisei (venti costanti che soffiano entro la fascia intertropicale convergendo dai due emisferi in prossimità dell’equatore) ideò un modello concettuale che descriveva il possibile movimento delle masse d’aria in grado di giustificare questi venti fino ad allora decisamente misteriosi. Non avendo a disposizione misure vere e proprie si affidò a un modello concettuale, che però rispettava tutti i processi fisici conosciuti all’epoca. Un modello che si basava sul semplice concetto di trasporto di calore da una superficie calda ad una più fredda, come succede con i fluidi, ma in questo caso il fluido non era l’acqua, bensì l’atmosfera. Per bilanciare il divario termico tra le diverse latitudini, l’aria equatoriale riscaldata dal suolo a sua volta surriscaldato dal sole, sale in quota per la spinta di galleggiamento fino alla tropopausa (presso l’equatore localizzata ad un’altezza maggiore rispetto alle nostre latitudini, ovvero a circa 16 km anziché 10 km). A quella quota secondo la prima teoria di Hadley, l’aria calda raggiungeva i poli per poi ridiscendere nei bassi strati dell’atmosfera e compensare così il disequilibrio termico; in seguito convergeva nuovamente verso l’equatore per chiudere il ciclo, dando luogo appunto agli alisei. Questo primo modello non era però perfetto: non teneva in considerazione la rotazione terrestre e gli alisei avrebbero pertanto dovuto soffiare a tutte le latitudini invece che solo nella fascia intertropicale.

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Schema a una singola macrocella (una per continente). Rimane solo un concetto ed è fisicamente impossibile (funzionerebbe con una Terra che non ruota): la forza di Coriolis devia il moto verso destra, le correnti in movimento verso i poli acquisterebbero quindi una componente occidentale sempre più crescente e non arriverebbero al polo.

Tenendo in considerazione la rotazione terrestre, l’estensione reale della cella di Hadley risulta essere molto più limitata: anziché estendersi fino ai poli come illustrato secondo il primo modello concettuale, si limita alle regioni tropicali fino a un massimo di latitudine di circa 30° sud e 30° nord. La rotazione terrestre infatti, tramite la “forza di Coriolis”, genera una deviazione delle masse d’aria in movimento: nell’emisfero settentrionale l’aria viene deviata verso destra rispetto alla direzione di marcia, mentre nell’emisfero sud la deviazione avviene verso sinistra.

Pertanto, arrivando al dunque, l’aria equatoriale riscaldata che raggiunge la tropopausa non viene deviata verso i poli tramite una linea retta, bensì - durante il suo spostamento verso latitudini più elevate - viene deviata sempre più verso Oriente, raggiungendo al massimo i 30° di latitudine per poi discendere al suolo e convergere verso l’equatore. Nei bassi strati le masse d’aria, nel loro spostamento di ritorno verso l’equatore per chiudere il ciclo vengono pure deviate verso destra rispetto alla direzione di marcia. Ed ecco spiegata l’origine degli alisei.

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Il modello di circolazione globale con le tre macrocelle per emisfero; in rosso sono indicati gli alisei

  • cnr.it

La cella di Hadley, nonostante il ridimensionamento rispetto all’idea di chi gli ha dato il nome, è però un elemento molto importante nella circolazione generale: “Non è solo il fulcro della circolazione a livello dei tropici, ma aiuta a capire perché in una data regione c’è un certo tipo di clima. Il sollevamento dell’aria calda all’equatore, tramite il processo di raffreddamento per espansione (diminuzione della pressione salendo di quota) e il conseguente processo di condensazione, dà luogo a frequenti rovesci e temporali a livello giornaliero, determinando imponenti quantitativi di precipitazioni e un clima caldo-umido tipico delle foreste pluviali. Verso i 30° di latitudine invece l’aria è costretta a scendere dalla tropopausa verso gli strati bassi dell’atmosfera. L’aria viene quindi riscaldata per compressione (scendendo verso il basso la pressione aumenta) e l’umidità relativa diminuisce. Su quelle zone, caratterizzata dalla presenza di zone di alta pressione più o meno costanti (la cintura delle alte pressioni subtropicali) il clima è quindi spesso torrido e molto avaro di precipitazioni. Ci troviamo infatti nelle zone desertiche, come ad esempio nel deserto del Sahara, il più prossimo a noi. Così prossimo che durante le ultime estati, spesso canicolari, più di una volta si è osservata l’estensione di una protuberanza dell’anticiclone subtropicale sahariano verso il Mediterraneo o addirittura fin sull’Europa centrale. Ecco perché, durante le ondate di caldo più intense, si sente spesso parlare di “anticiclone Africano”: è un nome dato soprattutto dai media, ma sempre più spesso è utilizzato anche in meteorologia per indicare questo tipo di configurazione sinottica”.

Riassumendo all’osso: la cella di Hadley è originata dalla diminuzione di temperatura con l’aumentare della latitudine (gradiente termico meridionale) ed è responsabile di tre elementi molto importanti in meteorologia e climatologia: gli alisei, la convergenza intertropicale (anche denominata ITCZ) e i grandi deserti.

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Il deserto del Sahara a Merzouga, in Marocco

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La zona di convergenza intertropicale

Abbiamo visto che in prossimità dell’equatore, nei bassi strati, si ha una convergenza degli alisei dell’emisfero boreale con quelli dell’emisfero australe. Questa area è chiamata zona di convergenza intertropicale, oppure zona di convergenza equatoriale, la causa della marcata instabilità e dei frequenti rovesci. Ma “la convergenza intertropicale non è fissa sulla latitudine 0°, bensì mostra delle oscillazioni sia spaziali sul breve periodo sia su larga scala a livello stagionale. Più precisamente a dipendenza della stagione si sposta di qualche grado verso sud durante l’inverno boreale e fino a un massimo di 19° nord durante l’estate boreale. Lo spostamento è determinato principalmente dalla circolazione monsonica. Inoltre sui continenti la sua oscillazione verso nord o verso sud è maggiore rispetto agli oceani, a causa delle differenti proprietà fisiche della terraferma e della superfice marina.

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La posizione della convergenza intertropicale durante la nostra estate (rosso) e il nostro inverno (blu)

La cella di Ferrel sopra le nostre teste

Salendo alle medie latitudini, le nostre tra i 30° e i 60°, troviamo il massimo gradiente di temperatura: in pratica sono le zone della Terra dove spostandoci a latitudini più elevate la temperatura decresce più in fretta. “Per esemplificare pensate alla grande differenza di temperatura media annuale nelle regioni del bacino del Mediterraneo e dell’Europa settentrionale: la differenza di latitudine che separa queste due zone è di solo 20° circa. Nonostante questo forte gradiente termico, la circolazione che s’instaura a queste latitudini non è di tipo termico come nel caso della cella di Hadley.

La cella che si trova a queste latitudini è definita cella di Ferrel. Come vedremo in seguito è molto più debole, piuttosto instabile e meno definita rispetto alla cella di Hadley ed è pure molto influenzata dal fronte polare. Per questo motivo è considerata da alcuni piuttosto una cella “teorica” più che reale. Ma andiamo con ordine: nel 19° secolo, e più precisamente nel 1865, William Ferrel, meteorologo statunitense, perfezionò un modello di circolazione di masse d’aria studiando e analizzando migliaia di giornali di bordo dei velieri. Il modello di Ferrel andò a perfezionare il modello di Hadley adattandolo alle latitudini medio-alte. Il modello ci dice che attorno ai 30° di latitudine, dove la circolazione di Hadley fa scendere l’aria dagli strati più alti dell’atmosfera verso il basso, non tutta l’aria che raggiunge il suolo inverte la rotta per raggiungere l’equatore. Secondo il meteorologo statunitense, parte di quest’aria devia verso nord, ovvero verso i poli, raggiungendo i 60° circa (poco al di sotto del circolo polare artico pensando al nostro emisfero) e innescando quindi una seconda cella di circolazione. Verso i 60° quest’aria calda incontra quella più fredda proveniente dai poli (fronte polare) e, ancora una volta, per differenza di densità, l’aria calda viene sospinta verso gli strati alti della troposfera. Quando quest’aria raggiunge la tropopausa viene deviata ancora una volta verso sud fino a circa i 30° dove incontra le correnti da sud della cella di Hadley e viene quindi anch’essa, nuovamente, sospinta verso il basso. Una volta raggiunto il suolo, il ciclo ricomincia: parte dell’aria verrà sospinta verso sud e inglobata nella cella di Hadley, parte verrà sospinta verso nord e verrà inglobata nella cella di Ferrel.

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Un altro schema del modello a tre macrocelle (in inglese) con un maggiore dettaglio dei movimenti interni alle singole celle

Come anticipato in precedenza la cella di Ferrel è però piuttosto debole e instabile: alle medie latitudini il riscaldamento non è costante e le correnti d’aria sono continuamente deviate dai venti predominanti da ovest. Il modello descritto da Ferrel dove l’aria più calda si muove a livello del suolo verso i poli è quindi molto incostante e per alcuni è valido solo a livello teorico-concettuale.

Sempre più a nord (o a sud): la cella polare

La cella polare è la cella che si trova alle latitudini più elevate secondo il modello a tre macrocelle che descrive la circolazione globale. “È caratterizzata da una zona di alta pressione al suolo persistente, causata dall’aria più fredda e pesante delle latitudini più settentrionali dovuta alla scarsa insolazione. Anche questa circolazione dunque è di tipo termico, come abbiamo visto per la cella di Hadley. In questa cella a livello del suolo il gradiente di pressione (barico) causa un movimento delle masse d’aria fredde verso latitudini più basse, dove incontrano l’aria più calda in movimento verso nord (circolazione di Ferrel) e la forzano a salire verso gli strati più alti dell’atmosfera. Salendo di quota, a livello della tropopausa, l’aria si muove verso i poli, risucchiata dalla subsidenza presente a livello dei poli. Come già la cella di Ferrel, anche la cella polare è molto debole e piuttosto instabile. E anche in questo caso per alcuni la cella polare esiste solo a livello concettuale e in realtà il trasporto di calore verso i poli avviene tramite mescolamento orizzontale, ovvero a causa delle forti ondulazioni del fronte polare che danno origine alle correnti a getto.

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Un'immagine già vista nella puntata sul vortice polare che, astraendo da quest'ultimo, fa ben capire come la corrente a getto polare possa avere delle forti ondulazioni

  • NOAA

L’inquilino tra le celle: le correnti a getto

Nei punti di congiunzione tra le celle finora descritte, a causa della già vista forza di Coriolis, si formano infine delle correnti a getto: “Si tratta di veri e propri fiumi d'aria ad alta velocità che scorrono in maniera zonale, ovvero da ovest verso est intorno a tutto il globo. In particolare, ci sono due principali correnti a getto subtropicali che si localizzano attorno ai 30° e una polare localizzata attorno ai 60°. L’estensione della corrente a getto e la sua intensità variano con le stagioni: sono più intense durante la stagione invernale, quando la differenza termica tra polo e equatore è maggiore. Al contrario in estate sono molto deboli a causa di un gradiente termico più debole.

Ma per concludere quindi, il trasporto del calore verso i poli avviene come spiegato dal modello a tre celle o solo a causa di quella di Hadley combinata alle ondulazioni delle correnti a getto? “Possiamo dire che sono due modelli concettuali e l’uno non esclude l’altro” conclude con un sorriso Luca Nisi, confermando ancora una volta che l’interconnessione globale dei fenomeni atmosferici e la loro natura caotica e complessa rendono la meteorologia una scienza non certo esatta, ma forse per questo ancora più affascinante!

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Lo schema con le correnti a getto (in inglese jet)

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