Basta un rapido giro su Google Immagini per rendersi conto di come il cantante degli Alphaville, Marian Gold, abbia dovuto cedere pure lui al peso degli anni. Ma d’altronde “Forever young” non era una promessa né tantomeno un programma anti-aging. Era solo una (bella) canzone, il cui significato oltretutto non ruotava attorno al concetto di longevità. Eh, sì: “longevità”, un termine perlomeno ambiguo e sfaccettato se chiediamo alle persone di tracciarne il contorno. Treccani la definisce “durata della vita degli organismi oltre il limite medio”. Diciamo che – generalmente – l’idea di “longevità”, a differenza dell’anzianità, crea una prima scissione tra chi la vede come un processo di invecchiamento rallentato e “sano” e chi invece la associa a tutta una serie di strategie, che permettono di estendere un aspetto e una tonicità giovanili anche in tarda età. Sembra apparentemente quasi la stessa cosa, ma dietro a questi due modi di intendere la longevità ci sono due approcci molto diversi nell’affrontare il tempo che passa. Da una parte vorremmo preservare la nostra gioventù – dunque resistere all’invecchiamento – mentre dall’altra parte c’è un’accettazione del processo di senescenza, purché supportato da quanto di meglio la scienza oggi ha da offrire. In realtà entrambi gli approcci chiamano in causa la scienza.
Ma la scienza come si pone di fronte all’invecchiamento?
Il biologo dell’evoluzione Thomas Flatt – dell’Università di Friborgo – fa una premessa fondamentale: l’invecchiamento è un processo universale. Ci sono ovviamente differenze tra gli organismi. Alcuni vivono qualche giorno, altri migliaia di anni, ma non si sfugge al passare del tempo. L’evoluzione, insomma, non investe nella longevità. E questo è tanto più vero se ci mettiamo in una prospettiva umana. Secondo Flatt – e con lui gran parte della comunità scientifica – non è che la natura “voglia farci invecchiare”: semplicemente veniamo “abbandonati” dalla natura. Essa ci supporta e ci sostiene fino all’età riproduttiva e poi – per dirla molto brutalmente – sono cavoli nostri. Come disse il genetista Edoardo Boncinelli ai microfoni del giardino di Albert nel 2008:
Se noi, con la cultura, con la civiltà, ci mettiamo d’impegno a voler prolungare la giovinezza, non è contro-natura: è semplicemente il tentativo di coprire una lacuna, perché alla natura – biologicamente – di quello che facciamo a cinquanta, sessanta o settant’anni non gliene importa niente.
Edoardo Boncinelli - a colloquio con Clara Caverzasio
Va detto inoltre che nel DNA non vi è alcuna specifica informazione genetica che accende il processo d’invecchiamento. Il nostro sviluppo, sì, lui è programmato, ma non l’invecchiamento. Esso è il prodotto di tutta una serie di meccanismi d’usura del nostro corpo.
Che cosa provoca questa usura?
I fattori che intervengono nell’invecchiamento sono davvero moltissimi, come d’altronde le teorie legate ad essi. In prima istanza vi sono tutti quei meccanismi che intervengono nella riparazione dei danni subiti dall’organismo nel corso degli anni. Meccanismi di riparazione che funzionano benissimo quando siamo bambini, bene in età adulta e assai maluccio via via che il tempo passa. Questi meccanismi sono controllati da altrettanti geni. E qui entra in scena il DNA. Per l’esattezza una sorta di cappuccio situato all’estremità di ogni cromosoma: il telomero.
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Spesso gli scienziati lo paragonano alla capsula di plastica che troviamo alla fine di una stringa: il telomero è come la capsula protettiva dei nostri cromosomi. Ma ad ogni divisione cellulare questa protezione si riduce, fino alla scomparsa. A quel punto il DNA è vulnerabile e potenzialmente soggetto a danni e deterioramento. Un DNA compromesso può ad esempio pregiudicare i meccanismi di autofagia cellulare: un processo biologico fondamentale che permette alle cellule di eliminare e riciclare i componenti invecchiati, danneggiati o inutilizzati.
Alcuni scienziati sottolineano piuttosto fattori come i radicali liberi, o cambiamenti delle funzioni nervose ed endocrine. Ci sono poi teorie immunologiche. Quarant’anni fa il professore di patologia Roy Walford suggeriva che il normale processo d’invecchiamento nell’uomo e negli animali fosse correlato a processi immunologici sbagliati che porterebbero a una ridotta resistenza alle malattie infettive. Per più di trent’anni la biogerontologa americana Judith Campisi ha invece puntato il dito contro le cosiddette “cellule senescenti” (o zombie) – altra conseguenza del deterioramento dei telomeri e di altri fattori. Cellule ormai incapaci di proliferare, ma che per contro secernono proteine in grado di causare infiammazioni croniche. La lista potrebbe continuare, ma appare subito evidente come la multifattorialità, nel processo d’invecchiamento, sia la ragione per cui oggi la comprensione del fenomeno nel suo insieme è pressoché impossibile.
Eppure, pian piano, diversi tasselli del puzzle stanno prendendo forma. Anche in Svizzera. E in Ticino.
Torniamo quindi alla tanto ricercata longevità. Quella intesa come accettazione dell’invecchiamento, purché in buona salute. Gli Stati Uniti sono certamente la nazione dove si conduce almeno il cinquanta percento della ricerca in questo senso. A iniziare dalla Glenn Foundation, che gestisce centri nei più prestigiosi istituti di ricerca (Buck Institute, Harvard, Mayo Clinic, Princeton, Stanford, ecc.). Degne di attenzione sono ad esempio le ricerche della scienziata premio Nobel Elizabeth Blackburn nel campo dei telomeri. In particolare, della telomerasi: un enzima che ripristina i telomeri consumati. Soprattutto, la Blackburn ha dimostrato infine scientificamente come la riduzione dei telomeri dipenda anche dall’equilibrio psichico, dallo stile di vita, da come mangiamo o dall’ambiente in cui viviamo. Quelle che erano ipotesi, con Blackburn sono diventate certezze. Sempre in America (a Stanford) le ricerche del Prof. Thomas Rando sull’epigenetica dell’invecchiamento delle cellule staminali nei topi hanno dimostrato che i tessuti vecchi potrebbero essere ringiovaniti dall’esposizione al sangue giovane. Attraverso questo lavoro, sta esplorando nuovi approcci per invertire l’invecchiamento cellulare e promuovere la resilienza delle cellule staminali. Tali interventi potrebbero migliorare la riparazione e il mantenimento dei tessuti per tutta la vita e prevenire l’insorgenza di malattie legate all’età. Lo scienziato giapponese (pure lui premio Nobel) Shinya Yamanaka ha invece sviluppato la riprogrammazione cellulare. Yamanaka stava studiando il processo mediante il quale le cellule staminali embrionali si sviluppano in cellule differenziate negli adulti. Ad un certo punto ha iniziato a guardare il processo nella direzione opposta: come le cellule differenziate negli adulti possono essere riportate a uno stato pluripotente, ovvero a come erano nella fase embrionale. Un metodo molto promettente, ma per ora, usarlo per prolungare le nostre vite, è ancora roba da fantascienza. Sempre a Stanford, anche la genetista francese Anne Brunet sta esplorando le cellule staminali e l’epigenetica con pubblicazioni davvero promettenti. Il Prof. Nir Barzilai dell’ Albert Einstein College of Medicine di New York – famoso per la sua conferenza dall’originale titolo “come morire giovani a un’età molto avanzata” - scommette su una sostanza chiamata metformina, un farmaco generico antidiabetico, che parrebbe estendere la durata della vita umana.
In Svizzera, a Losanna, il team del Prof. Johan Auwerx ha studiato i mitocondri: le piccole centrali energetiche delle nostre cellule. Questi organelli sono in grado di autoeliminarsi e poi riciclarsi per essere sempre efficienti. Con l’età questo processo – chiamato mitofagia - rallenta considerevolmente, provocando un indebolimento del nostro organismo. I ricercatori di Losanna hanno individuato dei particolari composti – presenti nella melagrana - in grado di riavviare il processo di mitofagia.
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La parte più sorprendente di questa scoperta – in noi umani - sta nel fatto che il vero miracolo lo compiono i batteri del nostro intestino. Essi trasformano quei composti in una sostanza chiamata urolitina A: è lei a rivitalizzare i mitocondri. Il Prof. Auwerx e i suoi colleghi hanno quindi sviluppato un metodo per fabbricare l’urolitina A in modo che possa essere commercializzata come integratore alimentare. Hanno fondato Amazentis, uno spin-off del Politecnico, che ora vende il prodotto con il marchio Mitopure.
Sempre nel campo degli estratti botanici, un gruppo di scienziati dell’Università̀ di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), in collaborazione con l’Istituto Oncologico di Ricerca (IOR a Bellinzona), ha identificato un fitocomplesso per colpire in modo specifico le cellule senescenti. La pianta studiata, in questo caso, è la Salvia haenkei.
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Salvia haenkei
Il direttore dello IOR, il Prof. Andrea Alimonti afferma che
questo trattamento in studi preclinici ha significativamente aumentato la sopravvivenza degli animali rispetto ai non trattati, con parametri di invecchiamento fortemente migliorati.
Prof. Andrea Alimonti - IOR
Sono stati osservati grandi miglioramenti dei parametri di invecchiamento in alcuni tessuti e una diminuzione dei sintomi legati all’età nei muscoli, nei reni, nella pelle e nei polmoni dei topi anziani. L’idea ovviamente non è quella di produrre la pillola miracolosa “anti-age”, bensì di sviluppare dei percorsi terapeutici per il miglioramento della qualità di vita, segnatamente nell’ambito della prevenzione di malattie tumorali o neurodegenerative.
Tutti tasselli di un puzzle incoraggiante, nel quale tuttavia è difficile per ora scorgere un’immagine complessiva chiara e definitiva.
Dunque? Forever young?
No. Non siamo meduse, noci di mare o idre. Non siamo in grado di invertire le lancette del nostro orologio biologico. Alcune prospettive scientifiche elencate sopra lasciano aperta la porta a una longevità che perlomeno possa rallentare i meccanismi di quell’orologio biologico. Non è poco!
Nel frattempo, vi è una pletora di offerte terapeutiche (e pseudo-terapeutiche) rivolte a quelle persone che proprio non tollerano i segni visibili del tempo che passa. Trattamenti certo riconfortanti, ma soltanto illusori e cosmetici sul piano dell’effettiva longevità. È spesso chiamata genericamente “medicina anti-aging”. Un termine peraltro stigmatizzato già nel 2008 da TA-Swiss – l’organismo federale che esamina i rischi e le opportunità delle nuove tecnologie. Si va dall’innocuo yoga facciale a più complessi trattamenti cutanei tramite campi elettrici. E così, tra campi magnetici pulsati, micronutrienti, ozonoterapia, collagene, acido ialuronico, diete detox o crioterapia l’idea di longevità passa spesso da un cuoricino su Instagram con il commento “wow, ma sai che proprio non dimostri i tuoi anni!”. Il tutto senza nemmeno scomodare il bisturi. E se questo ci mette il cuore in pace … tanto meglio. In fondo nel pacchetto “buon invecchiamento” vi è di diritto anche la voce “serenità”. Parola della dottoressa premio Nobel Elizabeth Blackburn.
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Un viso senza età
Come va? "un viso senza età" di Michèle Volonté e Mattia Berardi 26.10.2021, 21:00
Resta forse un ultimo equivoco?
Sì. O meglio: una domanda. Se un giorno almeno una parte delle ricerche menzionate sopra dovesse tradursi in altrettanti terapie o trattamenti preventivi, a quale costo sarebbe disponibile? L’accesso alla tanto agognata longevità sarebbe dato a tutti o ne fruirebbero soltanto le persone benestanti? Già, perché un piccolo dubbio è più che legittimo. Il Prof. Vittorio Sebastiano dell’Università di Stanford – esperto di riprogrammazione epigenetica dell’invecchiamento e invitato l’anno scorso al Lugano Longevity Summit – è anche alla testa di un’azienda tecnologica: la Turn Biotechnologies. Il Prof. Auwerx del Politecnico di Losanna– menzionato sopra – fa anche parte dell’esclusivo “Scientific Board” del programma Reverse Aging della Maison Dior. Le sue ricerche sull’urolitina A sono peraltro confluite nella società Amazentis SA che vende capsule a 125$ per un solo mese di trattamento. Insomma, nessuno qui vuol fare del moralismo spiccio. In fondo i risultati concreti delle ricerche – presto o tardi – devono raggiungere i consumatori finali. Ci mancherebbe. D’altronde le ricerche nel campo della longevità sono molto onerose e tutta la parte di ricerca e sviluppo al momento della messa a punto commerciale è altrettanto impegnativa finanziariamente. Bisognerà vedere quanto margine di profitto si vorrà ricavare e – lo sappiamo – le grandi aziende non sono propriamente enti filantropici o organismi statali. Non è un caso che la promettente ricerca del Prof. Barzilai basata sulla metformina è tutt’ora orfana di fondi e di investitori. Come ha dichiarato lo stesso Barzilai “La metformina è un generico. È il farmaco meno caro del repertorio farmaceutico americano (…) Chi vorrebbe investire in un farmaco che non porta guadagni?”.
Nell’attesa che alcune promesse scientifiche diventino realtà, per mantenerci giovani ci conviene fare ciò che apparentemente mette tutti gli scienziati – ma proprio tutti – d’accordo: esercizio fisico, dieta equilibrata e cercare di tenerci al riparo da stress, inquinamento e cattivo umore. Costa relativamente poco e pare abbia un suo effetto. Magari canticchiando “Forever young” degli Alphaville.
Giovani, longevi... quasi eterni!
Il giardino di Albert 08.02.2025, 17:00