È uno dei politici che meglio conosce le dinamiche del potere in Svizzera. È stato 20 anni al Consiglio nazionale, è stato capogruppo per il Partito Socialista, è stato anche candidato al Consiglio federale. Ora Roger Nordmann ha deciso di abbandonare la politica. La sessione delle Camere federali che si chiude venerdì 21 marzo è l’ultima per lui. SEIDISERA lo ha intervistato:
Cosa le mancherà?
Tutto l’aspetto sociale, i contatti. Però ne ho approfittato vent’anni, ho fatto tante cose. Alla fine, come nello sport, si deve lasciare prima della stagione di troppo.
Cosa non le mancherà invece?
Il rumore, che ci stanca, e la lunghezza delle giornate. Alla fine delle sessioni siamo esausti.
Da cosa misura il successo di un politico? Detto altrimenti, che bilancio fa della sua carriera politica?
È difficile fare un bilancio onesto di sé stessi, perché siamo sempre in un gruppo: cioè niente viene raggiunto soltanto da una persona in politica in democrazia. Quindi posso dire dove sono stato attivo, però è difficile dire che sono soltanto successi miei.
Lei è stato attivo molto nella politica energetica: ha promosso per esempio le fonti rinnovabili come l’energia solare. A che punto è la Svizzera?
A metà strada. E dipende dai settori. Nel risanamento delle case siamo molto bravi: in una quindicina di anni abbiamo ridotto quasi del 40% le emissioni di CO2. Sulla mobilità: siamo bravi nei trasporti pubblici, mentre per la strada si comincia soltanto adesso a ridurre l’impatto, sotto l’influsso dell’Unione Europea. Sul piano dell’elettricità, la decisione sul nucleare non è abbastanza chiara, perché manca un piano con la tempistica, e ciò genera incertezza. Ha fatto passi da giganti invece l’energia solare, ora è attorno al 12% della produzione. Ma ovvio, rispetto alla Germania, dove le rinnovabili sono già oltre il 50%, siamo meno bravi.
Lei è stato anche capogruppo del Partito Socialista. In quel ruolo ha dovuto attaccare gli avversari, ma anche collaborare con gli altri partiti. Qual è il giusto equilibrio in politica?
Non si deve mai attaccare in modo da non poter più discutere con qualcuno in futuro. E poi gli attacchi personali non hanno senso. Io ho provato a trattenermi, non ci sono sempre riuscito; però direi che troppa aggressività non serve. Alla fine, la democrazia esige un dibattito razionale. Di spinte irrazionali ce ne sono tante, a cominciare dagli Stati Uniti... Servono più razionalità e sobrietà.
Lei ha tentato di entrare anche in Consiglio federale. Non ce l’ha fatta, perché altri del suo partito hanno avuto la precedenza. Se dovesse dare un consiglio a qualcuno che inizia ora in politica, suggerirebbe di fare attenzione più agli avversari o ai compagni di partito?
Agli avversari! Sono più difficili da gestire. Il mio consiglio è di essere cooperativi all’interno del partito. Spesso i conflitti dentro il partito sono dovuti alla paura di non essere rieletti, o di non avere abbastanza spazio. Ma chi ha buone idee e lavora sodo, ce la fa. E sul Consiglio federale: io sono stato 244 mesi in Parlamento, di questi due li ho dedicati alla candidatura. Prima però non ci puoi pensare, sarebbe insopportabile agire solo nell’ottica di riuscire un giorno a entrare in Governo. È una carica difficile, e alla fine... è la vita, è la democrazia. Ho dovuto spiegare per esempio al signor Jositsch (Daniel Jositsch, PS, consigliere agli Stati ZH, ndr) che non è un diritto fondamentale diventare consigliere federale (ride). Ciò vale anche per me.
Cosa la preoccupa della politica svizzera, guardando al futuro?
Diversi aspetti. Primo, la questione climatica e delle risorse naturali. E anche i rapporti instabili con l’Europa. Ma mi preoccupa anche l’immobilità delle istituzioni svizzere. I confini dei Cantoni sono troppo stretti, i territori dei Comuni non corrispondono più alla vita della gente. Visto che siamo ricchi possiamo permetterci dello spreco. Ma oramai le strutture sono al limite. Anche il Governo dovrebbe essere più incisivo, con personalità forti, evitando che il Parlamento scelga semplicemente i profili più deboli del campo avversario. Però su questo punto faccio un bilancio molto negativo del mio operato... non sono riuscito a far nulla su questo fronte.
Cosa invece la rassicura e può rassicurare anche gli svizzeri? Guardando al futuro.
Il fatto che l’Europa tiene, e sfrutta le varie crisi per rafforzarsi. Ci sono poi progressi tecnologici incoraggianti e rapidi per far fronte alle esigenze energetiche e climatiche. Un altro aspetto molto rassicurante è il fatto che l’esplosione demografica a livello mondiale si è stabilizzata. Quando ero a scuola si parlava di 15 miliardi di esseri umani, un livello che difficilmente ci permetterebbe di vivere tutti in condizioni di vita buone a livello planetario.
In queste sue risposte si è soffermato su aspetti tecnici, ma allo stesso tempo ha anche uno sguardo ampio sullo sviluppo globale. Come si fa a evitare di perdersi nei dettagli, qua in Parlamento?
È molto difficile. È una delle grandi sfide. Anche perché le lobby, compresa quella vicina a me (energia solare), spesso presentano rivendicazioni specifiche, esagerate. Un politico deve però avere una visione d’insieme, per capire cosa è davvero importante. Quindi i dettagli vanno sempre visti nel contesto del big picture. È indispensabile anche per spiegare alla popolazione il motivo delle trasformazioni, la necessità di risolvere dei problemi. E per fare ciò bisogna dire come stanno le cose, presentare la verità. Ciò non ci garantisce una soluzione. Però senza dire come stanno le cose, i problemi non si possono risolvere.