Il consigliere federale Beat Jans ritiene che esternalizzare in paesi terzi i procedimenti di asilo potrebbe essere sensato: lo stato di diritto e i diritti umani devono però essere garantiti, ha aggiunto. Nel contempo il responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia si oppone a un controllo più deciso delle frontiere, sul modello di quanto sta facendo la Germania.
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Tenendo conto delle giuste condizioni, l’esame delle domande presentate da rifugiati potrebbe essere effettuato in altri Stati, con l’ausilio di personale svizzero in loco, spiega il 60enne in un’intervista pubblicata sabato dalla Schweiz am Wochenende (SaW). Questo avrebbe più senso “rispetto al rischio di annegare nel Mediterraneo”.
“Qualche giorno fa ho avuto un incontro con Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e qualcosa di simile al massimo difensore delle persone in fuga. Dice che queste procedure possono avere senso a certe condizioni: questa è anche la mia convinzione”, aggiunge il politico socialista. “Naturalmente, non si può fare come il Regno Unito ha fatto con il Ruanda, limitandosi a inviare denaro e rifugiati e credendo che il problema sia stato risolto”.
Il colloquio ha interessato anche i pericoli legati all’accoglienza di estremisti: come si ricorderà in agosto due richiedenti asilo di lingua araba hanno aggredito un ebreo ortodosso a Davos. “Sono rimasto scioccato”, dice l’intervistato a questo proposito. “Allo stesso tempo, l’incidente ha rafforzato la mia convinzione che dobbiamo fare di più per combattere il razzismo, l’intolleranza religiosa e la violenza in Svizzera. Non accettiamo alcuna forma di violenza”.
Intanto la strage di Solingen (Nordreno-Vestfalia) commessa in agosto da un siriano sta avendo ripercussioni anche nella Confederazione. “La frenesia che si è scatenata in Germania si è riversata in Svizzera”, osserva l’ex consigliere di Stato di Basilea Città. “Da allora sono stati presentati numerosi atti parlamentari. Ma non c’è motivo di affrettare i tempi: non è il modo elvetico di affrontare il tema. La situazione dell’asilo in Svizzera si è allentata negli ultimi mesi”.
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“Le sfide restano grandi”, ammette Jans. “Ma nello scenario più probabile, ipotizziamo che entro la fine dell’anno saranno presentate 28’000-29’000 domande invece di 33’000. Inoltre, ci aspettiamo ora 17’500 richieste da parte degli ucraini, invece di 25’000. L’altra buona notizia è che gli incidenti legati alla sicurezza nei centri federali per l’asilo sono significativamente diminuiti, in parte grazie alle procedure di 24 ore. Abbiamo anche chiare indicazioni che la criminalità sta diminuendo nei pressi dei centri, ad esempio a Boudry e Chiasso. E siamo più bravi a fornire assistenza medica e psicologica ai richiedenti asilo”.
Sicurezza nei centri asilo
Telegiornale 18.09.2024, 20:00
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Però la Germania - ricordano i giornalisti della SaW - ha rafforzato i controlli alle frontiere, perché quindi la Svizzera dovrebbe essere contraria a verifiche sistematiche? “La domanda è cosa significhi esattamente sistematico”, risponde il padre di due figli. “Se controllassimo tutti, il nostro sistema collasserebbe. Il risultato sarebbe un ingorgo infinito alla frontiera. Il sistema attuale funziona. L’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini effettua controlli basati sul rischio e rivaluta costantemente la situazione. Stabilisce le priorità, ad esempio nella lotta al contrabbando di persone. Ho chiesto al Consiglio federale di aumentare la frequenza dei controlli durante i Campionati europei di calcio e le Olimpiadi. Questo non ha avuto alcun effetto sul numero di richieste di asilo. Ciò dimostra che è un’illusione credere che i controlli alle frontiere siano la panacea per tutti i problemi migratori”.
“In tutta modestia, possiamo dire che stiamo facendo e abbiamo fatto molte cose giuste in termini di prevenzione del terrorismo”, prosegue il consigliere federale entrato in carica a inizio 2024. “Ogni richiedente asilo viene sottoposto a un controllo di sicurezza. Il servizio di intelligence identifica un pericolo in pochissimi casi. La minaccia terroristica maggiore proviene dai giovani che si trovano già in Svizzera e che si radicalizzano, ad esempio attraverso i media sociali. Due anni or sono la Confederazione ha quindi concentrato un piano d’azione esistente sui giovani”, conclude Jans.
Paradiso non può attendere
Falò 10.09.2024, 20:40