L'iniziativa "No Billag" - per le sue potenziali implicazioni e l'intenso dibattito che ha suscitato - ha una posizione senz'altro in netta evidenza nelle votazioni popolari in programma per il prossimo 4 marzo. L'ambito in questione è quello dell'offerta mediatica. L'elemento centrale è rappresentato da quel canone radiotelevisivo, il cui gettito è destinato sia alla SSR, sia alle emittenti regionali e locali con un mandato di servizio pubblico.
Focus sul tema certamente più dibattuto delle prossime votazioni federali
Il testo, attraverso una modifica della Costituzione federale, prevede segnatamente la
soppressione del canone e l'esclusione di sovvenzioni federali alle emittenti radiotelevisive. Nel caso di un'accettazione, a partire dal 2019 le attuali concessioni radiotelevisive con partecipazione al canone
sarebbero revocate senza indennizzi. Quanto a quelle future, esse verrebbero messe periodicamente all'asta.
Concetto e numeri del canone
Il canone rappresenta uno strumento finalizzato ad assicurare un'offerta informativa completa in tutte le regioni della Svizzera, su politica, economia, cultura e sport. È peraltro la stessa Costituzione federale a stabilire l'obbligo, per la radio e la televisione, di contribuire alla formazione delle opinioni, allo sviluppo culturale e all'intrattenimento, considerando le specificità della Svizzera e le necessità dei cantoni. Il mercato pubblicitario e delle sponsorizzazioni non è tuttavia sufficiente, in una realtà composita e caratterizzata da 4 lingue nazionali, per il finanziamento delle emissioni. La riscossione di un canone è legata quindi alle necessità di copertura di questi costi.
Beneficiarie dei proventi del canone, insieme alla SSR, sono anche numerose emittenti regionali e locali
Due anni orsono il gettito complessivo del canone raggiunse un ammontare nell'ordine di 1,37 miliardi di franchi. Alla SSR, che deve adempiere ad un mandato di servizio pubblico su scala nazionale, andarono circa 1,24 miliardi. Una sessantina di milioni venne invece ripartita fra
21 radio locali e 13 televisioni regionali, che sono al beneficio di concessioni.
La quota dei proventi del canone nella copertura dei costi delle varie emittenti radiotelevisive
I proventi del canone, come evidenziano le cifre dell'Ufficio federale delle comunicazioni (UFCOM), hanno un peso determinante non solo per la copertura dei costi sostenuti dalla SSR, ma anche per quelli a carico di numerose emittenti regionali e locali.
Circa l'entità del canone (che dal prossimo anno non sarà più incassato dalla società Billag, ma dalla società Serafe SA), va rilevato che dal 2019 il costo per le economie domestiche scenderà da 451 a 365 franchi annui. Quello per le imprese verrà stabilito in base al loro volume d'affari: tuttavia, le ditte con un fatturato inferiore a mezzo milione di franchi - che nell'insieme rappresentano i tre quarti di tutte le aziende in Svizzera - saranno esentate dal pagamento. Infine, la quota del gettito destinata alla SSR sarà ridimensionata ad un tetto massimo di 1,2 miliardi di franchi all'anno.
Gli argomenti degli iniziativisti
I promotori dell'iniziativa qualificano anzitutto il canone come una restrizione ingiustificata della libertà individuale e del diritto all'autodeterminazione dei cittadini. La sua abolizione, aggiungono, si tradurrebbe in una maggiore libertà di scelta sul piano della fruizione mediatica, come pure in uno sgravio per famiglie e persone con entrate modeste.
Sempre a detta dei favorevoli al testo, la fine del canone di ricezione stimolerebbe l'economia e il potere d'acquisto, consentendo la nascita di un mercato con maggiore concorrenza, la creazione di nuovi impieghi e nuove opportunità per gli investimenti.
L'UDC svizzera è fra i sostenitori dell'iniziativa: il "sì" è stato deciso dall'assemblea dei delegati svoltasi a Confignon (GE), sabato scorso. La sezione ticinese del partito ha invece optato per la libertà di voto
Alcune argomentazioni
concernono quindi direttamente la SSR. Gli iniziativisti definiscono eccessivi i salari da essa versati e puntano il dito sia contro l'importo del canone stabilito dal Governo, sia contro la facoltà del Consiglio federale di designare alcuni membri del consiglio d'amministrazione della SSR.
I sostenitori della "No Billag" sostengono quindi che la fine del canone porterebbe ad una SSR svincolata dalla sfera politica e libera di esercitare il proprio ruolo di "quarto potere" rispetto ad essa, senza timori di ripercussioni per le proprie entrate.
La posizione di Governo e Parlamento
L'iniziativa, respinta a larga maggioranza sia dal Nazionale che dagli Stati, è qualificata dal Governo come una minaccia per la sopravvivenza della SSR e di numerose altre emittenti. L'Esecutivo sottolinea inoltre il rischio, con il passaggio ad un regime di finanziamento esclusivamente commerciale, che si finisca per produrre a livello radiotelevisivo solo ciò che risulta redditizio.
Un "sì" al testo, afferma quindi il Consiglio federale, determinerebbe un netto affievolimento dell'offerta e della pluralità in campo mediatico, aumentando in realtà la dipendenza da finanziatori privati e gruppi esteri e, contestualmente, il rischio di intromissioni a livello politico.
Il Governo sottolinea quindi anche l'impatto sull'organico delle emittenti: attualmente sono quasi 6'800 gli impieghi in Svizzera offerti dalla SSR e dalle emittenti regionali e locali con un mandato di servizio pubblico. Per parte sua la SSR ribadisce che un'accettazione dell'iniziativa sancirebbe la chiusura dell'azienda: non c'è, per questa eventualità, un "piano B".
Entrambi i rami del Parlamento federale hanno bocciato a larga maggioranza l'iniziativa
La libertà di scelta degli utenti, contrariamente alle tesi degli iniziativisti, finirebbe per diminuire dato che molte emissioni non potrebbero più essere realizzate. In questo senso l'Esecutivo cita in particolare l'ascesa dei prezzi che si registra dove guadagna terreno la televisione a pagamento. Quanto alle regioni periferiche, esse sarebbero particolarmente esposte alla
riduzione dell'offerta: gli introiti di natura esclusivamente commerciale, nei bacini d'utenza più ridotti, non sarebbero infatti sufficienti per coprire i costi di produzione delle emissioni.
Con un'accettazione dell'iniziativa, ammonisce il Governo, la Svizzera diverrebbe il primo paese europeo a sopprimere il servizio pubblico radiotelevisivo e si verificherebbe uno smantellamento irresponsabile di un sistema teso ad assicurare un'offerta mediatica equivalente in tutte le regioni.
ARi