Svizzera

L'importanza degli arresti domiciliari

Con Roberta Arnold, ex Procuratrice pubblica e già docente all'Università di Lucerna, approfondiamo alcuni aspetti delle nuove misure di polizia anti-terrorismo

  • 17 ottobre 2020, 20:30
  • Ieri, 18:20
05:15

Roberta Arnold al microfono di Gian Paolo Driussi

RSI Info 17.10.2020, 18:08

  • ©Tipress

“I minorenni che vengono radicalizzati hanno questo duplice status alle volte: possono essere coinvolti nell’organizzazione e passare per terroristi o potenziali terroristi, ma essere a loro volta delle vittime”. Sono parole di Roberta Arnold, ex Procuratrice pubblica ticinese e già docente di diritto e terrorismo all'Università di Lucerna, che la RSI ha intervistato per approfondire alcuni aspetti legati alle nuove misure di polizia anti-terrorismo contro le quali qualche giorno fa è stato lanciato un referendum.

A far discutere sono infatti gli arresti domiciliari per i minorenni. Un provvedimento contro il quale si sono scagliate molte ONG e alcuni relatori ONU.

“Io mi immagino la situazione del genitore che ha un adolescente in casa che comincia ad avere delle abitudini diverse. – dichiara Roberta Arnold – Il genitore è preoccupato e non sa più cosa fare e si rivolge alla polizia”. Gli agenti rispondono, che non possono agire “perché non ci sono seri indizi che ci permettono di intervenire”.

Le misure preventive al centro delle critiche “permettono alla polizia di agire e di adottare gli arresti domiciliari come ultima ratio per togliere il giovane da un determinato contesto, che è pericoloso”. Evidentemente, spiega la Arnold, il provvedimento andrebbe preso “se le altre misure – quindi i colloqui e il dialogo con gli specialisti e i terapeuti – non funzionano. Così ha il tempo a casa – quindi in un ambiente sicuro – di rivedere le sue posizioni”.

Un discorso simile, spiega l’ex magistrato, può essere fatto anche per l’innalzamento delle pene per i terroristi e per i vertici di organizzazioni terroristiche. Non solo dissuasione quindi, ma anche reintegrazione. “Sì. Soprattutto per il terrorismo di matrice jihadista i processi di de-radicalizzazione possono essere molto lunghi e con delle pene dell’ordine per esempio dei cinque anni c’è il rischio che non si riesca a fare questo programma di de-radicalizzazione. Con delle pene più lunghe è quindi possibile che si possa fare un discorso con dei risultati migliori, anche se non sarebbe l’obbiettivo della pena”.

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