Dopo l’acquisizione lampo di Credit Suisse da parte di UBS avvenuta domenica, stanno emergendo sempre più preoccupazioni finanziarie legate al neonato colosso e alle sue nuove dimensioni. Il radiogiornale ne ha parlato con Mathias Hoffmann, professore di finanza e commercio internazionale all'Università di Zurigo.
Thomas Hoffmann
Non siamo passati da due istituti troppo grandi per essere lasciati fallire a un istituto che, in caso di difficoltà in futuro, sarà troppo grande per riuscire a salvarlo?
Concordo. La Svizzera già prima aveva banche enormi rispetto alle dimensioni del Paese. E abbiamo visto un salvataggio sul filo del rasoio, ben organizzato, ma con enormi rischi per i contribuenti. Giusto chiedersi quindi se non sia stato creato ora un mostro ancora più grande. Dobbiamo adeguare le regole, perché in caso di difficoltà sarà ancora più difficile salvarlo.
Concretamente, che regole andrebbero inasprite secondo lei? Più capitale proprio, o una separazione tra la parte “risparmiatori” da quella della banca d’investimento?
Sì, queste sono le variabili in discussione. Faccio però notare che Credit Suisse non aveva problemi di capitale... eppure è andata com'è andata. Se una banca perde la fiducia, non serve nemmeno la più grande copertura di capitale proprio. L'altro aspetto è quello della separazione, per così dire, tra i rami bancari più noiosi, e la banca d'investimento. In teoria le attuali regole sul too-big-to-fail avrebbero imposto la separazione delle attività svizzere di Credit Suisse, per salvarle, lasciando fallire il resto. Ma non ha funzionato, perché c'è stata una perdita di fiducia generale. Dobbiamo quindi dedurre che una suddivisione più chiara tra le attività nazionali e la parte globale va organizzata e comunicata in maniera più chiara.
Quindi secondo lei bisognerebbe pensare di fare a pezzetti la nuova UBS?
Non mi spingerei a tanto, ma ritengo che le regole vadano inasprite. UBS rafforza il suo ruolo come maggiore gestore patrimoniale al mondo. L'investment banking invece è già chiaro che verrà ridotto. Il problema vero è sul mercato interno svizzero... manca la concorrenza, malgrado la presenza delle banche cantonali e di altri istituti. C'è una distorsione del mercato da risolvere, anche per una questione di stabilità del sistema finanziario.
Ma per separare le due unità svizzere, UBS dev’essere d’accordo…
Questo sarà il grande problema. Perché la parte Svizzera di Credit Suisse è stata l'incentivo, il premio per UBS per assumersi i rischi della parte internazionale e degli enormi costi di ristrutturazione.
Per evitare un dissesto simile in futuro, bisognerebbe capire per davvero cos’è successo nelle scorse settimane. Ma la sensazione è che gli analisti finanziari non hanno saputo comprendere e anticipare i problemi…
Questa è una bella questione. Il punto è che le crisi bancarie non si possono prevedere: è la lezione di 40 anni di ricerca. Possiamo dire che una banca già in difficoltà è più vulnerabile... è quanto capitato a Credit Suisse, che sarebbe sopravvissuta se non ci fosse stata la crisi bancaria negli Stati Uniti. In altre parole, se c'è un nervosismo globale, vengono colpiti i più deboli. Ma qualsiasi banca è potenzialmente instabile, perché la fiducia è indispensabile. In quanto piazza finanziaria dobbiamo esserne coscienti, e dobbiamo imparare che ogni tanto una banca va liquidata... funziona così.
Ma i problemi sono quelli di sempre, o l’instabilità è destinata a peggiorare a causa del panico sui social media e dell’e-banking che mi permette di fare transazioni dal divano?
Certo, certo. Tutto si accelera se con due click posso spostare grandi somme di denaro. E i social media diffondono voci gettando benzina sul fuoco. Ma i meccanismi sono gli stessi da centinaia di anni. In passato si vedevano lunghe code agli sportelli... Avete presente le classiche foto degli anni Trenta? La dinamica è identica, solo più rapida. Oggi però gli effetti sono maggiori perché l'intero sistema finanziario è più interconnesso rispetto a 100 anni fa.