Il sei febbraio si celebra la Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, una realtà presente anche su suolo elvetico.
Stime recenti mostrano che sono oltre 20'000 le donne che in Svizzera hanno subito questa pratica. Ne è un esempio la testimonianza di due anni fa di una donna somala che è stata mutilata e cucita. “Avevo cinque anni, ho avuto forti dolori per settimane… sono stata legata all’altezza delle cosce, delle ginocchia e dei piedi, così da non potermi muovere”, racconta la donna alla RSI.
Christine Sieber, alla testa di un progetto mirato a creare una rete di centri di consulenza regionale, spiega però che i mezzi economici per far fronte alla problematica non sono sufficienti. “Non abbiamo abbastanza fondi per quello che dovremmo fare… stiamo cercando strutture di consulenza psicologica, giuridica e medica, ma abbiamo bisogno di soldi per il lavoro di prevenzione nelle comunità toccate da questa pratica ancorata in alcune tradizioni”.
La disponibilità di consulenze e di prevenzione sono cruciali per le ragazze che vivono questo tipo di realtà, poiché spesso temono di tradire la loro famiglia, rivelando la loro intenzione di sottoporle a tale pratica.
La rete di strutture apposite è presente in tutto il Paese e anche nella Svizzera italiana se ne sta creando una. “In Ticino l’interesse per questa iniziativa è grande, stiamo formando personale medico-sanitario e persone di contatto con le comunità migranti. Il progetto è guidato inoltre dall’Ente Ospedaliero Cantonale”, conclude Sieber.