Continua a montare in Svizzera, e sull’onda di un movimento che si è ormai diffuso in tutto il continente, la protesta degli agricoltori. Oggi, a Berna, una quindicina di rappresentanti del mondo rurale hanno presentato le loro rivendicazioni al Parlamento, dove hanno anche avuto un incontro con Christian Hofer, il direttore dell’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG).
Fra i 16 rappresentanti giunti a Berna c’erano anche 4 donne. E questa quota, a ben vedere, è la stessa che si registra anche nelle scuole che formano i contadini: un aspirante contadino su 4 è appunto donna. Un dato che si presta a più riflessioni sulla condizione in Svizzera delle contadine, le quali avrebbero qualche motivo in più per protestare rispetto ai colleghi uomini. Tante fra loro, mogli e figlie di agricoltori, non sono infatti retribuite: solo poco più della metà, stando ad un sondaggio realizzato dall’UFAG nel 2022, ha infatti dichiarato di percepire un salario. Dieci anni prima, va ricordato, non erano neppure un terzo. C’è stata quindi un’evoluzione positiva, ma rimangono comunque importanti disparità salariali. Senza poi contare che la quota delle donne a capo di aziende agricole rimane molto bassa: attorno al 7%.
Ma le disparità si consumano anche su altri versanti come, segnatamente, quello della formazione nel settore. Va infatti evidenziato che in tutta la Svizzera - ma con l’eccezione del Ticino - esistono due formazioni diverse: da una parte c’è quella dell’agricoltore e dall’altra una che è stata pensata esclusivamente per la moglie dell’agricoltore. Quest’ultima prepara alla gestione delle faccende domestiche e comprende anche nozioni di igiene, cucina e anche di vendita diretta dei prodotti. Una donna può scegliere quale formazione intraprendere. Tuttavia l’esistenza di questi due percorsi distinti ha delle precise implicazioni.
Berna: i contadini e le loro rivendicazioni
SEIDISERA 11.03.2024, 18:33
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A evidenziarle è la sociologa Sandra Contzen, la quale insegna all’Alta scuola delle scienze agrarie, forestali e alimentari di Berna. La premessa da fare è che la formazione destinata alle mogli dei contadini dà diritto ai pagamenti diretti e consente anche di rilevare un’azienda agricola: conferisce quindi ad una donna gli stessi diritti e le stesse autorizzazioni di cui dispone un uomo col suo certificato di agricoltore. Ma il punto è che “questa differenza nella formazione contribuisce a perpetuare le diseguaglianze”. E qui la terminologia in uso oltralpe è assai indicativa. “I termini Bauer o paysan sono sinonimi di Landwirt, al maschile”. Come a dire che “il contadino è l’agricoltore ed è il capo dell’azienda agricola”. Quando invece si parla di Bauerin, al femminile, “si intende automaticamente la donna che ha sposato il contadino”. Lei, in buona sostanza, è solo “l’aiuto dell’uomo che gestisce l’attività”.
Sono quindi i ruoli dell’uomo e della donna a essere intesi in modo diverso. “Penso che questa mentalità”, ossia l’idea per cui la maggioranza delle donne dovrebbe divenire contadina e non agricoltrice, “si rifletta poi nella scelta di chi debba prendere in mano l’azienda”, osserva l’esperta. Certo le cose stanno cambiando e ci sono sempre più giovani donne che assumeranno l’attività anche se hanno fratelli. Ma spesso ciò succede “perché i fratelli maschi non sono interessati”. E intanto è “sempre profondamente radicata l’idea che debba essere davvero un uomo a subentrare”.