Elia Imseng è figlio d’arte: già il bisnonno, il nonno e il padre intagliavano maschere a Kippel, uno dei quattro villaggi nella Lötschental. Oggi è lui a portare avanti con passione questa tradizione. Nel suo laboratorio, tra trucioli e profumo di pino cembro, ogni maschera prende vita in circa 20 ore di lavoro, dal taglio dell’albero alla rifinitura con pelliccia.
Nel Maskenkeller, la “cantina delle maschere”, Elia e suo fratello Andrea si trasformano in Tschäggättä: figure arcaiche e inquietanti che, durante il carnevale, si aggirano nei villaggi della Lötschental, spaventando adulti e bambini. Questa usanza ha origini misteriose, ma dagli anni ’80 ha subito un’evoluzione: non è più riservata ai soli uomini celibi e si svolge anche di notte, rimanendo però un’esclusiva dei residenti.
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Elia Imseng porta avanti con passione la tradizione di famiglia
Durante il carnevale, migliaia di visitatori accorrono per assistere alla sfilata delle Tschäggättä, ma bilanciare l’attrattiva turistica con il rispetto dell’autenticità non è semplice. “A volte può mancare la necessaria sensibilità nei confronti di chi tramanda la tradizione vivente”, dichiara ai microfoni di SEIDISERA Fabian Weber, esperto di turismo della Scuola universitaria di Lucerna. Se un’usanza viene adattata alle esigenze dei turisti, rischia di trasformarsi in un semplice spettacolo, svuotato del suo significato culturale. Inoltre, l’eccessiva commercializzazione può far sentire chi la custodisce sfruttato o marginalizzato.
Tuttavia, le opportunità non mancano. Il turismo, spiega ancora Weber, “può generare valore aggiunto ad una destinazione, rendendola più attrattiva e contribuendo alla salvaguardia di una tradizione, offrendo nuovi stimoli”. La chiave sta nel coinvolgere chi porta avanti queste usanze, evitando di snaturarle e garantendo il giusto equilibrio tra promozione e rispetto della cultura locale.