C’è sollievo, ma anche preoccupazione, tra le vittime di tratta di essere umana dopo l’importante sentenza di oggi nel canton Berna, dove una 58enne thailandese è stata condannata a 10 anni e mezzo di carcere per tratta di essere umani, promovimento della prostituzione e altri reati. Per loro si apre infatti una fase di incertezza, visto che al momento non hanno un permesso di soggiorno legale in Svizzera. Abbiamo parlato del loro futuro con Susanne Seytter, direttrice del Servizio specializzato in materia di tratta e migrazione delle donne, che ha accompagnato alcune delle vittime in questo processo.
"Per le vittime è un momento molto difficile. Con la fine del processo perdono il permesso di soggiorno temporaneo che la giustizia concede loro, perché utili all'inchiesta. Quindi c'è preoccupazione, perché non sanno se possono rimanere, o se devono tornare nel loro paese d'origine, dove c'è il rischio di ricadere nella rete di tratta di esseri umani".
Voi accompagnate diverse vittime, anche in questo caso concreto. Di solito qual è la loro volontà, di rimanere o di tornare?
"Dipende molto da caso a caso. Alcune vogliono tornare dalle loro famiglie, altre hanno paura di tornare. Ma ci sono rischi anche qui, perché testimoniando a processo si sono esposte molto, e non sono certe di essere al sicuro dal resto della rete criminale che ancora è attiva in Svizzera. È una minaccia reale."
La legge svizzera come le può proteggere?
"Le vittime di tratta di essere umani hanno la possibilità di chiedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari, facendo capo alla clausula per casi di rigore, passando prima dall'ufficio cantonale della migrazione e poi alla segreteria di stato della migrazione. L'asticella però è relativamente alta, la procedura è lunga, e la prassi varia molto da cantone a cantone. In alcuni gli uffici cantonali sono molto sensibili e disposti a sostenere le richieste, in altri è più difficile."
Aldilà del diritto di soggiorno, ci vorrà anche un'ulteriore protezione se - come diceva - anche in svizzera alcune possono correre dei rischi...
"Sì, sono misure di protezione individuali di cui non si forniscono dettagli, ma che garantiscono discrezione e anonimato."
Lasciando da parte queste formalità, le donne che oggi a processo hanno ottenuto una condanna, cosa si augurano per il futuro immediato?
"Il desiderio è di poter tornare a fare una vita normale, non in vista. Alcune si vergognano per quanto è loro capitato, si sentono stigmatizzate, hanno paura che tutti sappiano. La loro autostima è molto bassa, quindi per tornare a una vita normale il percorso è ancora lungo, e molte avranno bisogno - oltre al permesso di soggiorno, di un sostegno psico-sociale."
Alan Crameri