In Svizzera restano in primo piano le gravi lacune nella gestione degli abusi sessuali da parte della Chiesa cattolica, emerse dalla presentazione del rapporto stilato dall’università di Zurigo martedì. Rapporto nel quale il Ticino è citato a più riprese, anche per la sparizione e la distruzione di diverso materiale d'archivio, nonché per la riluttanza delle vittime a fare un passo avanti.
SEIDISERA ha intervistato sul tema don Patrizio Foletti, rettore del Collegio Papio di Ascona, in mano alla Diocesi di Lugano dal 1965. Foletti negli anni Novanta è stato anche segretario del vescovo Eugenio Corecco, sotto il quale - secondo lo studio - fu ordinata la distruzione di molti documenti relativi ad abusi sessuali avvenuti negli anni.
Don Foletti, lei prima di diventare rettore del Papio è stato anche segretario di monsignor Corecco. Lo studio individua con Corecco e un altro monsignore due momenti storici negli anni Novanta in cui sono stati cancellati e distrutti dei documenti dagli archivi. Lei sa qualcosa di questi documenti e di questa decisione di distruggerli?
Non so niente perché non ero più segretario: ho lasciato il segretariato nell'estate del 1994. Non sapevo assolutamente niente. Devo dire che, conoscendo Corecco e avendo evidentemente condiviso parecchie cose durante il periodo del segretariato, mi stupirebbe che abbia distrutto delle cose inerenti questa problematica.
Ci sono però dei documenti, delle mail che attestano che sia nel 1995 sia nel 1999 questi fatti sono avvenuti. Ci sono delle segnalazioni in questo senso molto chiare…
Ignoro queste cose, le ho sapute dalla stampa anch'io.
Lei è rettore dal 2004 del Collegio Papio: in questo ruolo, in vent'anni con quanti casi simili a quelli emersi dal rapporto ha avuto a che fare?
Casi gravi? Nessuno. Tutti forse ricordano che abbiamo allontanato un docente in giugno, ma per comportamenti inopportuni, quindi non certamente a livello penale.
Nello studio si parla anche di una riluttanza da parte delle vittime nell'uscire allo scoperto. In questo senso la scuola fa abbastanza per aiutare queste persone a uscire allo scoperto?
Da una parte c'è una certa preoccupazione dei miei colleghi, così come mia, di essere all’ascolto, a osservare i nostri alunni e a condividere le nostre sensazioni o impressioni. Mi sembra di poter dire che comunque i canali sono tanti, c’è anche la direzione, me compreso, e il mio vicerettore… le nostre porte sono sempre aperte e possono disturbarci quando preferiscono.
Dallo studio pubblicato martedì scaturisce anche l'invito di aprire gli archivi e di agire in maniera proattiva per favorire l'emersione dei casi. Voi come vi ponete di fronte a questa richiesta?
La questione degli archivi è molto semplice: sono a disposizione nel caso si vorrà esaminarli. D’altronde sono stati passati in rassegna da uno storico che ha di recente svolto una ricerca sulla storia del collegio. D’altra parte siamo disposti anche a lasciarci interpellare laddove fosse necessario, ma mi sembra che già ora sono in atto delle strutture abbastanza funzionanti.
Alla luce delle nuove cifre che emergono da questo studio, è immaginabile proporre nuovi strumenti, nuovi metodi per cercare di trovare anche in allievi che sono passati magari vari anni fa in questo collegio, dei riscontri?
Per chi non è più qui è un'ipotesi che stiamo valutando. Si potrebbe scrivere a tutti di farsi avanti qualora avessero delle cose da dire. Gestiamo una banca dati dei nostri allievi, ma di molti abbiamo perso ormai le tracce. Devo dire che sarei un po’ sorpreso, perché io stesso ho ancora moltissimi rapporti con quelli che erano i miei allievi negli anni Ottanta e, in qualche maniera, credo mi sarebbe arrivato qualche segnale se ci fosse stato qualcosa di grave.
Abusi, il Papio aprirà gli archivi
Il Quotidiano 15.09.2023, 19:00