Il Sindacato svizzero dei media (SSM) denuncia gli effetti molto negativi sul personale e sull’economia che la riduzione del canone a 300 franchi provocherebbe. La riforma avanzata dal Consiglio federale, che contrasta l’iniziativa “200 franchi bastano”, preoccupa l’SSM che ha organizzato un incontro per rilanciare il dissenso. Detto altrimenti, per chiedere che le istituzioni ticinesi si facciano sentire a Berna. La consultazione della revisione dell’Ordinanza radio-tv termina infatti il prossimo 1° febbraio.
Il sindacato fa anche una stima dei posti di lavoro che la RSI perderebbe. “Abbiamo fatto un calcolo e arriviamo a 150-170 esuberi - dice Paolo Bertossa, co-presidente dell’SSM -. Che significa molto di più, se calcoliamo anche i contratti a tempo parziale. Per cui rischia veramente di essere un disastro”.
La riforma è in due fasi. Dal 2027 il calcolo dell’Ufficio federale delle comunicazioni parla di perdite a livello nazionale per 170 milioni di franchi, tra entrate del canone e annullamento del rincaro. Ma la SSR, che considera anche la diminuzione della pubblicità, arriva a 240 milioni. Dal 2029 non vi sono stime.
“Manca ancora l’ultima parte, che ancora non è stata chiarita - dice Bertossa - . Nel 2029 ci sarà il secondo step di riduzione del canone, più una probabile diminuzione delle entrate pubblicitarie. Tutto questo va ben oltre le previsioni della SSR”.
Canone a 300 franchi, contraria anche ATG
Il Quotidiano 15.01.2024, 19:00
Le conseguenze economiche non sono solo interne alla SSR. Nella Svizzera italiana la RSI lavora con 52 ditte esterne, il cui personale sarebbe a rischio. È una delle principali aziende formatrici della regione, genera un valore aggiunto di 213 milioni, secondo uno studio del BAK Basel.
Inoltre un taglio del canone si traduce in un taglio dell’offerta al pubblico. “Parliamo dei programmi sportivi - osserva l’altra co-presidente Sabrina Ehrismann -. Parliamo dei programmi religiosi. O della fiction, ad esempio film, telefilm prodotti da RSI”. Oggi, rilancia Bertossa, “la SSR ha un mandato di servizio pubblico. Deve garantire tutta una serie di servizi, oltre che la qualità. Per cui sotto questo livello non possiamo andare”.
A sostegno di questa battaglia c’è l’Unione sindacale svizzera (USS). La revisione proposta dal Consiglio federale indebolirebbe il servizio pubblico. “È un doppio errore - dice Giangiorgio Gargantini, vicepresidente dell’USS -. Prima di tutto strategico, perché si dà l’idea che alcune delle proposte degli iniziativisti sono date già per acquisite. Contrariamente a quello che si sarebbe fatto con un controprogetto. E poi è un errore di diniego democratico. Perché si priva la popolazione della possibilità di esprimersi a favore dello status quo. Questo status quo che era stato difeso da più dei 70% dei votanti nel 2018”.