Ticino e Grigioni

Migranti, le regole dei trattati e l’umanità dolente

Milano si è dotata di un centro per ospitare i migranti in transito, quelli che secondo il sistema Dublino non dovrebbero esistere. E in Ticino? Parla chi conosce la realtà della frontiera

  • 5 gennaio, 06:39
  • 5 gennaio, 11:55
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SEIDISERA del 4.1.25: intervista a Willy Lubrini

RSI Info 04.01.2025, 19:56

Di: SEIDISERA-Francesca Torrani/RSI Info 

Dal 2 giugno scorso, in via San Marco, nel centro di Milano, c’è un centro per l’accoglienza notturna temporanea dei migranti che non vogliono restare in Italia, ma sono solo in transito. Il Comune lo ha dato in gestione ad una associazione. Dispone di 20 posti e offre cena, colazione, la possibilità di lavarsi e, se necessario, un po’ di assistenza medica, ma ci si può restare soltanto per un massimo di due giorni consecutivi, altrimenti si viene mandati agli uffici di chi si occupa delle procedure di asilo.

Un centro che il Comune ha voluto per motivi umanitari, ma che è di fatto in contrasto con le regole dell’accordo di Dublino, secondo cui è il paese UE/Schengen di primo ingresso a doversi occupare dell’asilo (salvo alcune eccezioni) senza consentire i “movimenti secondari” verso altre mete.

Anche in Ticino si incontra l’umanità che scappa. Ne sa qualcosa Willy Lubrini, dell’Associazione Mendrisio Regione Aperta, che SEIDISERA ha incontrato.

“Noi ufficialmente non abbiamo contatti di questo tipo, perché ci occupiamo dei residenti nei centri federali di asilo di Chiasso e di Pastura”, spiega Lubrini ai microfoni della RSI. “Però, personalmente, i membri dell’associazione, ma anche tanti cittadini del Mendrisiotto, sporadicamente abbiamo avuto tantissime occasioni di incontrare persone in transito, dei migranti che si spostano verso nord o verso la Francia, l’Austria, altri obbiettivi. È un movimento sottotraccia, si vede solo sporadicamente, come a Bellinzona con le persone che si fermavano alla stazione a dormire di notte. Nessuno sapeva cosa fare, nessuno voleva intervenire. Vedere, ma non voler vedere...”.

C’è una linea che divide le regole decise a livello politico - penso in primo luogo agli accordi di Dublino - da un’umanità che chiede invece di poter transitare…

“Il trattato di Dublino è un laccio. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo prevede, all’articolo 13, la libertà di movimento, di immigrazione: ogni uomo è libero di muoversi, a seconda dei propri bisogni, per il principio di autodeterminazione. Un migrante che arriva a Lampedusa deve rimanere in Italia, ma magari ha un obiettivo di vivere da un’altra parte, di ricongiungersi con degli amici, eccetera”.

E questo rende gli aiuti difficili...

“Queste persone non si fidano nemmeno delle associazioni presenti sul territorio. Hanno una loro rete. Hanno subito talmente tante disavventure (e ognuno si porta dietro il suo carico di sofferenze) che fa paura. Per esempio temono un rimpatrio forzato. Se hai un passaporto dell’Uganda o dell’Afghanistan, dove vuoi andare? Sei condannato a vivere nella povertà e nella guerra o nei cambiamenti climatici. E sei condannato a restare lì perché non hai forza economica”.

Ma allora come si concilia tutto questo con il dovere di aderire alle norme europee?

“È impossibile, a mio parere personale. Finché ci saranno queste regole, l’unica scappatoia è la disobbedienza civile. Queste persone (i migranti, ndr) si prendono il carico di disobbedire e chi vuole dare una mano a queste persone, a sua volta decide di disobbedire alle regole”.

La vostra associazione aderisce alla “Carta di Rebbio”, coordinamento delle reti di soccorso e migranti di Don Giusto, che è nata un anno fa. Come si è evoluta e che tipo di collaborazione avete avviato?

“Per il momento non abbiamo ancora avuto dei contatti costanti. Per esempio, a me è arrivata una telefonata da un giovane di 15 anni che si era perso a Udine. Proveniva dal Kurdistan e doveva ricongiungersi con suo padre, che vive in un paese del nord Europa. Dei volontari gli hanno pagato il biglietto fino a Milano. A Milano, con un’associazione della rete, siamo riusciti a pagargli il biglietto fino a Rebbio (Como). Ha dormito lì e suo padre è venuto dal nord dell’Europa a prenderlo per portarselo a casa. Ecco, questa rete vuole rendere meno difficile il cammino di queste persone, toglierle dai pericoli. Più si estende, meno sofferenze ci sono”.

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