"È la scuola - che non vedrà neppure sperimentare al suo interno una possibile riforma – la principale vittima dei tanti veti incrociati che hanno affossato la proposta con un chiaro e tondo 56,7% di no". Lo scrive Matteo Caratti che, nell'editoriale dell'edizione di lunedì di "La Regione" si sofferma su "Una bocciatura che brucia": il "no" alle urne al credito per la sperimentazione del progetto "La scuola che verrà".
Al deragliamento finale di un progetto che aveva ottenuto il consenso di maggioranza parlamentare e Governo ha contribuito "l'incapacità del DECS diretto da Manuele Bertoli (e dei suoi alti funzionari) a convincere i diretti interessati, cioè la classe docente".
A questo punto si aprono due nuovi capitoli, scrive il direttore del quotidiano. "È chiaro che la battuta d'arresto permetterà a un ampio fronte destro di rilanciare i vecchi cavalli di battaglia". Primo fra tutti un'iniziativa parlamentare dal titolo "La scuola che vogliamo: realista – Pluralità di istituti nell'unità educativa".
C'è poi la vicinanza dell'appuntamento elettorale: "Se attendevamo una data per l'inizio della campagna elettorale candidiamo quella di ieri. Correranno di nuovo tutti, ma solo alcuni hanno già in tasca il biglietto per una poltronissima".
Il 56,7% dice no a La scuola che verrà
Il Quotidiano 23.09.2018, 21:00
"Il voto negativo è la pietra tombale sulla riforma in gestazione dal 2013, che non vedrà quindi mai la luce", scrive invece Gianni Righinetti sul Corriere del Ticino. Significativo è anche il voto negativo dei due centri faro, Lugano e Bellinzona, e la sconfitta è di quelle che bruciano.
I referendisti, sottolinea Righinetti "hanno lanciato l'intesa elettorale in vista del 2019, i socialisti hanno incassato la batosta senza fare troppo rumore, mentre il PLR è stato protagonista di una caduta di stile".
Perché? "Se la sono presa con Bertoli, senza ammettere di essere scivolati su una buccia di banana". Puntare ora l'indice contro il titolare del DECS "è la classica reazione del cattivo perdente".
A lasciare un po' l'amaro in bocca – conclude l'editorialista – è la partecipazione al voto: solo il 40%: "Il disinteresse c’è parzialmente stato e questo deve interrogare favorevoli e contrari" perché "occorrerà rimboccarsi le maniche per trovare altre soluzioni".
RG 07.00 del 24.09.18: il servizio di Agata Galfetti
RSI Info 24.09.2018, 09:43
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