"Avevo 15 anni e capivo poco delle cose del mondo. Nel 2014 lo Stato islamico mi ha rapita nel mio paese, nel nord dell'Iraq, imprigionata, torturata e violentata. Ho visto queste violenze su altre donne, su bambine di 9 anni. Mi sono detta "io devo scappare per raccontare al mondo quello che accade qui". Làmyia Aji Bashar, è una giovane attivista irachena di etnia yazida e a soli quindici anni ha dovuto subire i soprusi e le violenze delle milizie islamiche che hanno invaso il suo paese nel nord dell'Iraq. In questi giorni è a Lugano nell'ambito del Festival dei diritti umani.
Lamyia viene ridotta alla schiavitù sessuale, costretta a costruire ordigni esplosivi per i terroristi. Riesce a fuggire ma incappa in una mina che esplode: le tracce sono ancora visibili sul suo volto.
Adesso è un fiero simbolo di resistenza e si batte affinché non ci sia oblio e affinché giustizia venga fatta: "Voglio che vengano riconosciute tutte le vittime, che ci sia un processo per gli autori dei crimini perpetrati dall'ISIS. E che ci sia un riconoscimento internazionale per il genocidio degli yazidi."
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