Cultura

Cristallizzare la memoria del mondo prima che evapori

Maurizio Molgora è un fotografo di origini milanesi, adora le aree industriali, gli scali ferroviari, i non luoghi che stanno al limite delle aree urbane 

  • 17 giugno, 17:00
04:09

“Odio le passeggiate nei boschi in montagna”

RSI CULTURA 17.06.2024, 08:00

Di: Stefano Roncoroni 

Ama avventurarsi fra i binari senza permesso, intrufolarsi fra i vagoni fermi negli scali merci, entrare di nascosto nelle aree industriali. E inquadrare e scattare. Maurizio Molgora è un fotografo luganese, nato e cresciuto a Milano: «Sono cresciuto nella periferia di Milano, nel quartiere Giambellino, per cui fin da bambini andavamo per ferrovie, per fabbriche. Questa estetica mi è rimasta un po’ dentro. Quando mi inoltro, quando mi aggiro in queste zone, a volte scavalco, a volte entro in spazi dove non si potrebbe, ma devo entrare e mi dà ancora un po’ quella sensazione di avventura che manca poi in una vita quotidiana tutta compartimentata e pianificata.»

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Il suo amore per le fotografie in aree ferroviarie, di smistamento, industriali deriva ovviamente dai grandi maestri, in primis Gabriele Basilico: «Sono quasi come dei luoghi interstiziali, dei non luoghi uguali un po’ dappertutto: Chiasso assomiglia a Milano, assomiglia a scali ferroviari tedeschi. Ogni giorno, sui canali social, su Instagram vengono prodotti milioni e milioni di immagini. Ha senso continuare a produrre ancora altre immagini? Per me sì, rappresenta un tentativo di cristallizzare delle situazioni del tempo, della memoria. Quello che fotografo era un mondo ancora legato alla produzione, alle fabbriche. Adesso, tutto ciò è evaporato ma questi luoghi raccontano ancora un passato con un’altra spiritualità, con un’altra statura.»

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L’eccesso di comunicazione dei giorni nostri è un grande motivo di riflessione per Maurizio Molgora. Soprattutto quando fotografa. Non a caso, una sua ossessione fotografica sono le strutture vuote che un tempo sorreggevano immagini pubblicitarie o insegne di negozi e aziende. Di questi strani riquadri per il nulla è diventato quasi un “cacciatore”. «Sono vuoti, bianchi, resta solo lo scheletro, hanno esaurito il messaggio che convogliavano e restano lì, simboli di un vuoto assoluto: in un mondo così pieno di messaggi, questi spazi bianchi, quasi delle tele di arte contemporanea monocrome, li trovo molto affascinanti.»

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