Indetto il 9 maggio da Papa Francesco con la bolla Spes non confundit, il nuovo Giubileo o Anno Santo avrà inizio il 24 dicembre 2024 con l’apertura della porta santa in San Pietro da parte dello stesso pontefice. Il 29 dicembre 2024, l’1 e il 5 gennaio 2025 il medesimo rito sarà successivamente compiuto nelle basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Paolo fuori le Mura dai rispettivi cardinali arcipreti Reina, Ryłko, Harvey, laddove fino al 2000 avveniva tutto in un solo giorno, quello della vigilia di Natale, e contemporaneamente alla celebrazione papale in Vaticano. Tra le novità di rilievo c’è da segnalare per importanza e significato l’apertura di una porta santa nel carcere di Rebibbia, che avrà luogo il 26 dicembre. Anche in questo caso sarà Francesco a effettuarla secondo l’auspicio da lui stesso espresso nella bolla d’indizione e immediatamente preceduto dalla proposta ai governi di tutto il mondo, perché in riferimento ai detenuti «si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi» (nr. 10).
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È opportuno rilevare come il Papa ne parli in termini di «richiamo antico, che proviene dalla Parola di Dio e permane con tutto il suo valore sapienziale nell’invocare atti di clemenza e di liberazione che permettano di ricominciare: “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti” (Lv 25,10). Quanto stabilito dalla Legge mosaica è ripreso dal profeta Isaia: “Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61,1-2). Sono le parole che Gesù ha fatto proprie all’inizio del suo ministero, dichiarando in sé stesso il compimento dell’“anno di grazia del Signore” (cfr. Lc 4,18-19)».
La lunga citazione bergogliana, infatti, consente di riandare alle origini della parola giubileo, che attraverso il termine latino iobeleus, coniato da san Girolamo, e le sue varianti iubelaeus e iubilaeus, deriva dall’ebraico yôbēl. Il vocabolo semitico, che significa letteralmente montone, indica nella Bibbia il compimento del settimo ciclo di anni sabbatici, ossia quell’anno cinquantesimo che il Levitico definisce santo e chiama ripetutamente Giubileo nei capitoli 25 e 27. Annunciato dal suono del corno (šôfâr) – fra l’altro, come anche richiamato ultimamente dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, probabile accezione originaria della parola yôbēl –, l’anno giubilare era caratterizzato dal riposo della terra, dall’annullamento della proprietà terriera o restituzione dei beni immobili ai primitivi proprietari, dalla remissione dei debiti, dalla liberazione degli schiavi. Il Nuovo Testamento presenta Gesù come colui che porta a compimento l’antico Giubileo ebraico: venuto a «promulgare l’anno di grazia del Signore», è lui stesso infatti, secondo la pericope lucana citata in Spes non confundit, a dichiarare che la profezia isaiana si è avverata nella sua persona.
Indetto per la prima volta il 22 febbraio 1300 da Bonifacio VIII con la bolla Antiquorum habet a seguito di una massiccia ondata di fervore popolare, concretatasi nella reiterata richiesta d’indulgenza plenaria, e col probabile intento di fare di Roma la nuova Gerusalemme dopo la caduta di San Giovanni d’Acri (1291), il Giubileo cristiano trova proprio nell’oracolo veterotestamentario la sua più profonda ragion d’essere. Illuminanti al riguardo le parole di Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente: «Occorre sottolineare tuttavia ciò che Isaia esprime con le parole: “predicare un anno di grazia del Signore”. Il Giubileo, per la Chiesa, è proprio questo “anno di grazia”: anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati, anno della riconciliazione tra i contendenti, anno di molteplici conversioni e di penitenza sacramentale ed extra-sacramentale. La tradizione degli anni giubilari è legata alla concessione di indulgenze in modo più largo che in altri periodi. Accanto ai Giubilei che ricordano il mistero dell’Incarnazione, al compiersi dei cento, dei cinquanta e dei venticinque anni, vi sono poi quelli che commemorano l’evento della Redenzione: la croce di Cristo, la sua morte sul Golgota e la sua risurrezione. La Chiesa, in queste circostanze, proclama “un anno di grazia del Signore” e si adopera affinché di questa grazia possano più ampiamente usufruire tutti i fedeli. Ecco perché i Giubilei vengono celebrati non soltanto “in Urbe” ma anche “extra Urbem”: tradizionalmente ciò avveniva l’anno successivo alla celebrazione “in Urbe”» (nr. 14).
Il paragrafo del documento wojtyłiano costituisce una sintesi del significato ed evoluzione storica del Giubileo cristiano, chiamato nei secoli anche Anno Santo in quanto caratterizzato da solenni riti sacri e finalizzato a promuovere la santità di vita. Bisogna ricordare che Bonifacio VIII, “inventore” del grande evento religioso, attribuisce allo stesso l’appellativo di anno centesimo (annus centesimus) e ne fissa la regolare celebrazione ogni cento anni, indicando in San Pietro e San Paolo fuori le Mura le basiliche da visitare per l’acquisto dell’indulgenza. Detto periodo viene ridotto a cinquant’anni da Clemente VI che, accogliendo l’esplicita petizione della delegazione romana giunta ad Avignone, nella bolla Unigenitus Dei (27 gennaio 1343) si richiama per tale alternanza temporale alla tradizione ebraica. Si deve sempre al quarto pontefice della cattività il primo utilizzo dell’appellativo iubilaeus in riferimento all’Anno Santo e l’estensione degli spazi giubilari alla basilica Lateranense. L’attuale periodo intergiubilare di venticinque anni è fissato il 19 aprile 1470 da Paolo II, che nell’Ineffabilis Providentia cita espressamente la visita delle quattro basiliche patriarcali (quella di Santa Maria Maggiore era stata aggiunta da Gregorio XI nel 1373) e, chiarendolo anche teologicamente rispetto alla menzione clementina d’ordine temporale, impone di fatto il termine Giubileo. Papa Barbo pone anche fine alla cadenza di trentatré anni che, introdotta da Bonifacio IX nel 1389, aveva ingenerato nel tempo non poca confusione.
Il Giubileo del 1500, indetto da Alessandro VI con la bolla Inter multiplices (28 marzo 1499), vede l’introduzione del rito di apertura in contemporanea delle porte sante nelle quattro basiliche con esplicita menzione del passo giovanneo relativo a Gesù, porta della vita e della salvezza (sembra che una non meglio specificata Porta aurea in San Giovanni in Laterano fosse stata aperta già da Martino V nel giubileo del 1423). È il pontefice spagnolo, inoltre, a fissare il complesso cerimoniale di inizio e chiusura degli Anni Santi, rimasto inalterato fino al 1975.
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Strettamente connessa al pellegrinaggio e alla visita delle basiliche patriarcali (cui si è aggiunta nei secoli quella delle Sette Chiese e di altri luoghi sacri anche extra Urbem, di volta in volta indicati nei vari documenti pontifici) è, come si è già detto, l’acquisizione dell’indulgenza plenaria, che le Norme sulla relativa concessione per il Giubileo del 2025 definiscono «dono di grazia, proprio e peculiare di ogni Anno Santo». Secondo la specifica dottrina e prassi ecclesiale, strettamente connesse al sacramento della Penitenza, s’intende per indulgenza plenaria, applicabile anche «ai defunti per modo di suffragio», la «remissione dinanzi a Dio» di tutta la «pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi» (Paolo VI, Indulgentiarum doctrina, Norme 1-3).
Segno e coronamento dei riti giubilari restano pur sempre le opere di misericordia e penitenza, informate dall’amore cristiano o carità. Ne hanno dato prova nel corso dei secoli gli stessi pontefici. Basti pensare, giusto per limitarsi a qualche esempio, a Clemente VIII, che nell’Anno Santo del 1600 serve a tavola i pellegrini e mangia quotidianamente con dodici poveri, o a Benedetto XIII, che in quello del 1725 si reca spesso in visita ai vari ospizi dei pellegrini, lavando loro ogni volta i piedi e servendoli a tavola.
Cristiani siriani, speranza e timore - Bambini in viaggio verso il Giubileo
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