Diramato nella serata di mercoledì 19 marzo 2025, l’ultimo bollettino medico ha fornito informazioni confortanti sul graduale miglioramento della salute di papa Francesco, che, come noto, è ricoverato al Gemelli dal 14 febbraio scorso. La polmonite bilaterale, certo, persiste, ma è comunque sotto controllo. Inoltre, per quanto lenti, i progressi delle condizioni cliniche del pontefice hanno portato alla sospensione della «ventilazione meccanica non invasiva» e alla riduzione della «necessità dell’ossigenoterapia ad alti flussi». Da qui la decisione di diradare le comunicazioni nel merito e, salvo imprevisti, diffondere il nuovo bollettino agli inizi della prossima settimana. Una più concreta rassicurazione era già giunta, in ogni caso, domenica scorsa con la pubblicazione della prima foto di Bergoglio dall’inizio della sua degenza. Foto tanto più attesa quanto più dilagante è stata per oltre un mese l’ondata di congetture indebite e false notizie fino alle immancabili teorie del complotto sulla presunta morte del Papa. Va da sé che lo scatto fotografico con un Francesco inquadrato di tre quarti e quasi di spalle, mentre, rivestito di camice e stola viola, sosta in preghiera davanti all’altare della cappellina del decimo piano del Policlinico Gemelli, non è riuscito a bloccare i cospirazionisti di ogni latitudine né tanto meno a smorzare le illazioni; anzi, sembra vero l’esatto contrario. Ma non è questo che qui interessa.
Il valore e il significato della foto in questione attingono infatti al duplice ambito della testimonianza per le persone credenti e della vicinanza unitiva «a tanti fratelli e sorelle malati: fragili, in questo momento, come me». A scriverlo è stato lo stesso pontefice nel testo da lui preparato in occasione dello scorso Angelus domenicale. «Il nostro fisico è debole – ha spiegato Francesco – ma, anche così, niente può impedirci di amare, di pregare, di donare noi stessi, di essere l’uno per l’altro, nella fede, segni luminosi di speranza». Quanta luce risplende, in questo senso, negli ospedali e nei luoghi di cura! Quanta attenzione amorevole rischiara le stanze, i corridoi, gli ambulatori, i posti dove si svolgono i servizi più umili! Perciò vorrei invitarvi, oggi, a dare con me lode al Signore, che mai ci abbandona e che nei momenti di dolore ci mette accanto persone che riflettono un raggio del suo amore».
https://rsi.cue.rsi.ch/info/mondo/%E2%80%9CIl-Papa-deve-reimparare-a-parlare%E2%80%9D--2690279.html
Quello della malattia e della fragilità personale è d’altra parte un tema cui Bergoglio ci ha abituato nel corso degli anni: a partire dal gennaio 2022, egli non ha avuto alcuna remora, ad esempio, a mostrarsi in pubblico munito di bastone ortopedico o seduto su una sedie a rotelle per problemi di deambulazione. Al riguardo si può però sottolineare, e a ragione, come Francesco non sia affatto un apripista e prosegua piuttosto nel solco già tracciato da Giovanni Paolo II. Primo pontefice a essere ricoverato in ospedale e, per giunta, proprio al Policlinico Gemelli – il che avvenne il 13 maggio 1981 a seguito dell’attentato in piazza San Pietro –, Wojtyła ha infatti rivoluzionato il modo di pensare il corpo e la salute del vescovo di Roma. Al precedente quanto rigoroso riserbo, sintetizzato nella massima «Il papa sta bene fino al giorno della sua morte», è così subentrata, da oltre quarant’anni, la voluta e aperta ostensione dei mali e delle sofferenze fisiche del capo della Chiesa cattolica. Il tutto reso ancor più plasticamente dalla foto, prima in assoluto nel suo genere, dello stesso Giovanni Paolo II, ritratto, il 19 maggio 1981, sul letto d’ospedale durante la prima degenza al Gemelli. Fino al 2005, anno della morte, il papa venuto dall’Est sarebbe stato ricoverato altre nove volte in quel nosocomio, da lui stesso definito scherzosamente «il Vaticano numero tre» (dal momento che considerava quale secondo la residenza di Castelgandolfo). Con l’insorgere del Parkinson e i successivi problemi osteoarticolari, che l’avrebbero progressivamente immobilizzato, Giovanni Paolo II, secondo il parere di Włodzimierz Re̜dzioch, «non volle nascondere i suoi mali: non per esibizionismo, ma per rivendicare il valore e il ruolo nella società di ogni persona, anche malata o minorata».
Non si può comunque non rilevare come nel 1992, ad appena un anno dai primi sintomi di Parkinson diagnosticatigli dal medico personale Renato Buzzonetti, Giovanni Paolo II avesse voluto istituire la Giornata mondiale del malato con lo scopo di sensibilizzare Chiesa, istituzioni sanitarie e società civile alle necessità di assicurare la migliore assistenza alle persone inferme.
https://rsi.cue.rsi.ch/info/mondo/Il-Vaticano-ha-pubblicato-una-foto-del-Papa-in-ospedale--2675873.html
Il radicale cambio di prospettiva, inaugurato da Wojtyła e fatto proprio da Bergoglio, è ben spiegato dal medico e giornalista argentino Nelson Castro nel libro La salute dei Papi. Medicina, complotti e fede da Leone XIII a Francesco (Piemme 2021), che, scritto dietro suggerimento del pontefice connazionale, si conclude con un’intervista allo stesso. Non temendo di mettersi a nudo, Francesco ha così raccontato, ormai quasi quattro anni fa, il suo rapporto con la malattia e, in particolare, con una serie di nevrosi, a partire da quell’ansiosa, per fronteggiare la quale, ai tempi della dittatura di Videla, era anche ricorso all’ausilio di uno psichiatra.
Per evitare comunque interpretazioni semplicistiche e fuorvianti, c’è da spendere una parola ulteriore sull’accennata riservatezza o segretezza, non di rado congiunta a dissimulazione, intorno allo stato di salute e alle malattie dei papi nel corso dei secoli. Quest’ultime, in particolare, sono infatti da riportare all’alveo di «eventi carichi di implicazioni destabilizzanti» in quanto generatori di «un clima da Sede vacante». Lo osservava tempo fa, in riferimento ai pontificati del XIV-XIX secolo, la storica Maria Antonietta Visceglia nel poderoso volume Morte e elezione del papa. Norme, riti e conflitti. L’Età moderna (Viella 2013) E così in passato, se da una parte si è cercato «di occultare la malattia del papa, nascondendola finché possibile o mostrando il papa (anche forzandolo) in qualche funzione pubblica» (pag. 18), dall’altra non si è potuta impedire la circolazione di relative informazioni al di fuori «delle stanze più riservate del palazzo» (pag. 15). Il tutto accompagnato da «una ridda di voci e false notizie che si alimenta e cresce su sé stessa generando una sorta di “sovrainformazione”, una “sovrapproduzione” di novità che non è una specificità della prima Età moderna ma è, nella Roma papale, una costante di lungo periodo» (pag. 15). Il che potrebbe in realtà dirsi, mutatis mutandis, anche in riferimento ai nostri giorni.
Gli aggiornamenti del Papa
Setteventi 17.03.2025, 07:20
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