Il 12 dicembre 2024, nel Cenacolo del Convento francescano di Santa Croce a Firenze, si è svolto un dialogo tra Vito Mancuso e Marco Vannini, che aveva come tema: Ubi consistam? Sulla meraviglia dello stare. Il titolo prende lo spunto dal noto aneddoto riferito dal matematico alessandrino Pappos, secondo cui Archimede, di fronte alla scoperta della leva, avrebbe esclamato: «Datemi un punto di appoggio (ubi consistam, in latino) e solleverò il mondo». Al di là del riferimento classico, la celebre frase intendeva richiamare l’attenzione sulla necessità che la società del nostro tempo, largamente percorsa da incertezze e smarrimento, ha di trovare un punto di riferimento capace di fornire un solido sostegno esistenziale, e tale, possibilmente, da conferire gioia al nostro stare, vivere, nel presente.
Occasione del dialogo era la recente pubblicazione del libro di Marco Vannini, Conosci te stesso e conoscerai te stesso e Dio, edito a Firenze da Le Lettere, ed è stato l’autore a prendere per primo la parola, esponendo sommariamente al pubblico il contenuto del libro stesso, il cui titolo consta di due parti: la prima, Conosci te stesso, è l’ammonimento che, secondo la tradizione, era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi; la seconda, e conoscerai te stesso e Dio, è l’aggiunta che fece il Padre della Chiesa greco Gregorio di Nissa.
L’ammonimento del dio veniva interpretato in due sensi opposti: uno era rivolto a tener sempre presente la miseria della condizione umana e ad evitare perciò quello che era per i greci il peccato più grave, ossia la ybris, la tracotanza; l’altro, invece, a scoprire e ricordare la nobiltà dell’anima umana e la sua parentela con il divino.
È questa seconda interpretazione, già prediletta da Platone, ad esser ripresa dai cristiani, a partire appunto dai Padri greci, ma poi su su, in tutta la storia della mistica, passando ad esempio per Meister Eckhart o san Giovanni della Croce, concordi sul fatto che la conoscenza di di Dio procede da quella di noi stessi. La conoscenza di sé stesso è, per questi Maestri, la conoscenza non delle proprie passioni, ma di quella essenza, quel “fondo” dell’anima, che si ha quando sono rimossi i contenuti accidentali dell’anima stessa e lo spirito, raccolto nella sua interiorità, non vede altro che luce, ed è fatto esso stesso luce. «Raccogliendosi nella sua interiorità, lo spirito non vede più nulla, ma vede la luce, non come cosa in un’altra cosa, ma come sé stessa, pura e da sé istantaneamente fulgente», scriveva Plotino: del resto, in greco la stessa parola, phos, significa tanto luce quanto essere umano. A questa luce non si può fare altro che dare il nome di Dio, ossia quello che esprime il valore più alto, e che, in realtà, è anche etimologicamente legato proprio alla luce del giorno (deus, dies). Non si rivolge forse a Dio chiamandolo più volte “luce eterna”, Dante, nell’ultimo canto del Paradiso? Seguendo questa linea, la scoperta di ciò che veramente siamo è anche la scoperta della presenza del divino in noi, nell’anima nostra. Questa scoperta è davvero beatificante, perché la nostra finitezza assume il carattere dell’ infinito, il presente quello dell’eterno, e lo “stare”, qui ed ora, è davvero oggetto di una gioia per così dire estatica, di una meraviglia infinita.
A questo primo intervento di Vannini si collega quello di Vito Mancuso, che esprime innanzitutto la commozione di trovarsi in quella splendida sala, di fronte all’affresco dell’Albero della Vita e dell’Ultima Cena di Taddeo Gaddi, a dialogare ancora una volta con l’amico di una vita sui temi che li hanno accomunati per più di trenta anni. Prendendo lo spunto dalla Prefazione di Conosci te stesso e conoscerai te stesso e Dio, in cui si cita il filosofo Boezio, che, in carcere, visitato dalla Filosofia, personificata in una veneranda matrona, deve ammettere che la più grave causa del suo male è non sapere più chi è, ovvero aver perduto la conoscenza della propria natura divina, Mancuso conferma che la nostra società potrebbe e dovrebbe sottoscrivere questa diagnosi. La cosiddetta “morte di Dio” ha avuto infatti come immediata conseguenza anche la perdita della conoscenza di sé stesso, con un ego che si perde nei meandri delle mille psicologie, anche se sembra celebrare il suo trionfo, in una sorta di narcisistica ipertrofia.
Se però è giusto, da un lato, battersi contro questo aspetto, occorre però, da un’ altro lato, evitare quella che Mancuso, coniando un nuovo termine, definisce “egoclastia”, ovvero una immotivata e ingiusta distruzione dell’ego. Un pericolo, questo, cui, a suo parere, sembra non sfuggire il libro oggetto del dialogo, in cui si citano con approvazione alcune affermazioni di Simone Weil per le quali l’io è sempre cattivo, sempre peccato. L’oratore rivendica invece una bontà sostanziale dell’io, nella misura in cui questo si configura come libertà del soggetto di fronte a dogmi o poteri costituiti.
Gli esempi possono essere tanti, a partire da quello di Gesù, che, contrapponendosi al passato dei Profeti e della Scrittura, afferma risolutamente. “Ma io vi dico…”, fino a quello del filosofo Abelardo, che non teme di contraddire tutta una tradizione filosofica, alla quale risponde: “Ma non io…”. La libertà è anche la chiave per cercare quell’ ubi consistam che non può essere trovato altro che all’interno di noi stessi, non all’esterno, seguendo l’imperativo kantiano Sapere aude!, abbi il coraggio di conoscere, ovvero non dipendere da verità precostituite, filosofiche o religiose, che poi probabilmente verità non sono affatto. Ancora il tema della libertà, cui corrisponde quello della responsabilità, segna una differenza di pensiero rispetto all’amico: se infatti questi insiste da sempre sull’importanza di rimuovere il pensiero del male, giudicato classicamente un pensiero assurdo – pensiero che qualcosa non abbia una causa necessaria – Mancuso ritiene che la libertà di scelta implichi la possibilità di un’ effettiva malvagità dell’essere umano. Riprendendo la parola, Vannini chiarisce alcuni punti del suo primo intervento, e il dialogo prosegue e si conclude con un ampia convergenza di idee sul primato del Bene come fondamento reale su cui appoggiarsi, per un’esistenza autentica, per uno “stare” pieno di gioiosa meraviglia.
Vito Mancuso
Gli Incontri di Rete Uno 23.11.2024, 09:05
Contenuto audio
Il peso della responsabilità
Moby Dick 28.12.2024, 10:00
Contenuto audio