Lo cantava anche lui, in maniera profetica, in Trieste: «Scoprimmo che il vento cantava il giorno che passò in TV». Era il 2020, allora Lucio Corsi era un giovane cantautore maremmano con tutto ancora da dimostrare, ma quel disco, Cosa faremo da grandi?, il suo secondo, aveva già i punti di forza che lo scorso febbraio gli hanno aperto le porte del grande pubblico. Più che una maturazione, semmai, serviva una piattaforma che facesse da eco mediatica – Sanremo appunto, là dove l’attività capillare di concerti in locali più o meno piccoli, che porta avanti dal 2017, non sarebbe arrivata, vista anche la crisi che in Italia ha investito i club – e qualche compromesso nella scrittura, come è accaduto in Volevo essere un duro. E l’album in cui è inserito, dal titolo omonimo e in uscita oggi, conferma quest’impressione: altro che evolversi radicalmente o tradirsi; il successo era questione di tempo.

Fuori il nuovo disco di Lucio Corsi
RSI Cultura 21.03.2025, 11:45
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Certo, la grande esposizione dell’ultimo mese – oltre ad aver accelerato, forse, la chiusura stessa dei lavori – è stata uno sbalzo: in una settimana, quella del Festival, è passato dall’essere sconosciuto allo spettatore generalista (gli unici contatti risalivano allo scorso ottobre, quando aveva cantato Tu sei il mattino nella terza stagione di Vita da Carlo: la serie di Carlo Verdone ha dato inizio a questa svolta ed è servita da biglietto da visita) a vero e proprio fenomeno di massa, con bambini che per Carnevale si sono vestiti come lui, che a propria volta s’ispira al glam rock in Italia, peraltro, mai popolare, e poi varie dimostrazioni d’affetto a tutti i livelli e la partecipazione all’Eurovision Song Contest di Basilea, visto il rifiuto di Olly. Ma, ecco, sarà anche perché il personaggio è rodato da anni di live e dischi, non c’è stato una sorta di sbandamento, né un cambiamento in senso stretto.
Corsi, insomma, è lo stesso che una nicchia di appassionati – comunque già trasversale, altro indizio importante – aveva cominciato ad amare almeno proprio dal 2020. Un artista, cioè, che rappresenta un’alternativa alla direzione che ha preso la musica italiana: puro da passare per naïf (all’Ariston chiedeva di «votare chi vi pare, la musica non è una gara»), concentrato su live intensi e interamente suonati (il 2 agosto, tra l’altro, è a Locarno), capace di unire e recuperare i grandi cantautori della tradizione italiana e il rock statunitense degli anni Settanta senza per questo risultare un cosplay e un’operazione nostalgia. Nei testi, a lungo ispirati alle favole di Gianni Rodari, ha uno stile fiabesco solo suo, perfino fresco, coprendo sia le nuove generazioni e sia gli appassionati dei cantautori classici che non si rivedono negli artisti attuali. Spiazza, non è conservatore, ma al tempo stesso è rassicurante.
Lo è sempre stato, ma in Volevo essere un duro, l’album, sembra pronto al grande salto – sembra, cioè, che questo possa essere uno dei pochi dischi di quest’anno di musica italiana in grado di rimanere. Era questione d’incastri, di occasioni giuste. Di tempo, di nuovo. Tant’è che alcuni di questi pezzi venivano suonati dal vivo già dal 2023. La formula è la stessa di Sanremo, con arrangiamenti ispirati al glam rock che non lasciano spazio alla pomposità, facendo sembrare il tutto a misura d’uomo, artigianale, felicemente scalcinato, con la voce sempre in primo piano e qualche episodio in acustico. Poi le melodie generose, ovviamente, una disciplina in cui ha sempre brillato (qui c’è Il re del rave a dargli ragione) e soprattutto i testi, in cui già dalla stessa Tu sei il mattino, non a caso messa in apertura, gioca il vero, unico scarto con il suo passato.
Se prima l’impostazione era fiabesca, quasi animistica, con animali ed elementi della natura come protagonisti per raccontare, certo, storie di esseri umani, ora è più diretto. Come Lucio Dalla e Ivan Graziani, descrive personaggi più o meno sopra le righe e dai tratti autobiografici, di cui però si riappropria alla sua maniera, dallo stesso “re del rave” a tale Rocco, il bullo di scuola, e a Francis Delacroix, «un amico immaginario che però abbiamo conosciuto in tanti», uno che sembra uscito dalla beat generation e che in vita sua ne ha trovate di ogni. Ancora, il notturno di Nel cuore della notte, che da Dalla sfocia in Venditti. Gente in carne e ossa. Peraltro questa versione acustica è solo un “appunto”: la suona dal vivo da anni, con vari testi in cui narra le avventure del personaggio in questione, e non esclude di aggiungerne delle altre, come un brano “in divenire”.
Certi approcci, nella musica italiana, li mette sul piatto solo lui, così come certe intuizioni degne dei grandi del passato. Tra storie d’amori di liceo, nostalgia e paesaggi stralunati, sempre visti con gli occhi incantanti del bambino, spicca per esempio Sigarette, un inno surreale e sognante al suo vizio preferito, spot al fumo come antidoto per non invecchiare – nel senso, perché uccide. È uno degli episodi di cui si parlerà di più e meglio, nonché uno di quelli che sarebbe potuto stare benissimo in uno dei dischi precedenti, a prova della continuità di fondo, di uno stile che ha trovato originalità nell’interpretazione del passato. Lo stesso vale per l’esibizione, già storica, del Festival con Topo Gigio, nella cover di Nel blu, dipinto di blu, testimone del modo in cui Corsi maneggia il mezzo televisivo, quando gli venga dato. In questo senso, potrebbe riservare sorprese anche all’Eurovision Song Contest. Ciò che è certo è che, comunque, neanche lì si snaturerà: d’altronde è sempre andato bene così.