«Abbiamo preferito rimanere poveri, ma fare cose che avessero un senso: musica, attivismo e impegno».
Il duo post-punk minimalista Hyperculte è una delle entità sperimentali svizzere più militanti. Discende dalla controcultura ginevrina degli anni ’90, una scena solidale diventata carburante esistenziale e creativo.
Il terzo album di Simone Aubert (batteria) e Vincent Bertholet (contrabbasso) si chiama “La Pangée” (Bongo Joe records). È il disco più oscuro pubblicato finora, eppure si balla, forse perché è l’unica cosa che ci resta da fare di fronte allo sconforto per l’impossibilità di rendere il mondo un posto migliore, più inclusivo, equo e meno inquinato, soprattutto dal giogo individualista del capitalismo.
Raccontano: «L’Europa è responsabile di molta miseria nel mondo. Le politiche ultraconservatrici, la non volontà di condividere le ricchezze fa male al cuore e allo spirito. Un giorno pagheremo per questo. Serve un cambiamento».
Hyperculte mostrano due prospettive opposte, come in “Jamais trop” e “Le chemin”: la speranza data dalla forza della comunità e di ciò che la unisce, e il “sogno impossibile” d’abbandonare un sistema basato unicamente sui soldi.
«Non riusciremo, come società, ad abbandonare il capitalismo, la ricchezza come la viviamo quotidianamente. Soprattutto in Svizzera. È un modello che si sta sgretolando da solo. Noi riusciamo a immaginare le comunità in un sistema in cui il denaro non è centrale».
La musica di Hyperculte è un veicolo per la critica sociale e la denuncia di un sistema che ha mostrato i suoi limiti: anti-capitalismo e riscaldamento globale sono in agenda, come la crisi migratoria nel brano “Le malheurs du siècle”.
«Dovremo accogliere tanta gente che viene dal Sud. Ci sono paesi in cui non sarà più possibile vivere perché le temperature saliranno a 50 o 60 gradi e quelle persone dovranno andare a vivere da qualche parte. La nostra società non fa uno sforzo per rinunciare alle proprie comodità e capire che qui si sta parlando di bisogni primari, di cibo, di sopravvivenza. In un contesto di guerra come quello attuale, l’essere umano non si sta dimostrando una “grande creatura”».
Non c’è confine tra musica e azione politica. Hyperculte hanno un messaggio e, come messaggeri, affrontano i problemi della società.
«È stata la musica a darci una cultura politica: ascoltando le band mi sono interessato ai movimenti politici. Facendo quello che facciamo siamo dentro un’azione politica, ma conta il fatto d’essere artisti, di accogliere la precarietà come parte di una vita dedicata a qualcosa di diverso dalla “normalità” suggerita dalla società. Noi abbiamo preferito rimanere poveri, ma fare cose che avessero un senso: musica, attivismo e impegno».
I cambiamenti, in primis quello climatico, sono repentini, quindi, è normale percepire oscurità e tradurla in musica. Con le chitarre “noise” di “Le Chemin”, Hyperculte rappresentano il fuoco che brucia i campi, minacciando la nostra capacità di soddisfare i bisogni primari.
«Tutto va peggio delle previsioni, che erano già spaventose; come lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, più veloce del previsto. Una barzelletta dice che il pessimista è un ottimista con esperienza».
Con l’ultimo album “La Pangée”, Hyperculte ribadiscono la necessità di un cambio di paradigma e di un’azione radicale. È fondamentale escogitare un modo diverso e sostenibile di vivere e convivere, possedendo di meno, condividendo di più e, come raccontano in brani come “Se perdre” o “Cabanes”, ritornare alla terra, riscoprire la foresta e perdersi in essa. Tornare all’essenziale, senza paura, senza subire questo sistema, continuando a realizzare i propri sogni.