L’immaginazione al potere: che cosa più del cinema può rivendicare la paternità dello slogan sessantottino? Azzardiamo: niente.
La Macchina dei sogni di celluloide si è sempre nutrita di immaginazione: quella di registi, sceneggiatori, attori e quella degli spettatori, tutti stretti in quel connubio inscindibile che ha permesso al cinema di diventare uno dei fenomeni di massa più significativi del Novecento (con buona pace dei Fratelli Lumière che, dopo essere stati tra i principali protagonisti dell’invenzione del cinematographe, lo strumento che permetteva riprese e proiezioni, sostennero, con capacità previsionali pari a zero, che il cinema fosse “un’invenzione senza futuro”).
A dire la verità, il successo del cinema non era facilmente prevedibile in quell’ultimo scorcio del XIX secolo. I documentari di Auguste e Louis Lumière avevano una durata di pochi secondi e, al di là della forte emozione che provocava negli spettatori “vedere il mai visto”, non lasciavano presupporre ciò che di lì a breve sarebbe capitato.
Il cinema “aspettava” il Novecento, il secolo della “rivoluzione del mondo” con la radio, gli aeroplani, le automobili, per mostrarsi con quella forza dirompente che, com’era convinto Filippo Tommaso Marinetti: “svilupperà la sensibilità, velocizzerà l'immaginazione creatrice, darà all'intelligenza un prodigioso senso di simultaneità e di onnipresenza”. Basta staticità: con l'invenzione del cinematografo, quasi una sfida prometeica, non soltanto diventava possibile fissare su pellicola e riprodurre la realtà, ma anche mostrarla in movimento.
La magia del cinema è un tornado che sembra destinato a far “piazza pulita” di ogni forma di rappresentazione. Con la cinematografia, come disse il pittore Giacomo Balla, addirittura: “la riproduzione pittorica del vero non interessa né può interessare più nessuno”. Esagerazioni futuriste ovviamente, però, è indubbio che il cinema entra nella vita delle persone abituandole a scoprire spazi virtuali fino ad allora inimmaginabili dove realtà e finzione si sovrappongono. E il merito è proprio dell’immaginazione “che prende il potere” e lo fa da subito. Sarà un caso, ma avviene con un altro francese, Georges Méliès, che decide di “giocare” con la finzione, addirittura con la fantascienza, portando, nel 1902, i suoi spettatori niente meno che sulla Luna...
Ce n’est qu’un debout! e solo un inizio lo fu veramente, perché in pochi anni film come “Il monello” di Chaplin o “I quattro cavalieri dell’apocalisse” con Rodolfo Valentino, avrebbero fatto diventare il cinema un fenomeno di massa senza paragoni con nulla in passato.
Con l’avvento del sonoro, poi, definitivamente immagine e immaginazione coincisero sullo schermo: nella sala buia, apparve una realtà che, nello stesso tempo, era finzione, ma era una finzione credibile quanto la realtà.
Senza che nessuno lo avesse previsto, quel “Linguaggio di apparenze”, come lo chiamava Pirandello, apre anche le porte dell’inconscio e dell’immaginario tanto che, come nel tempo scoprirà la psicanalisi, al di là delle storie narrate sullo schermo, un film rende visibili le trame dell’inconscio di chiunque ne è coinvolto, soprattutto gli spettatori, la cui reazione alla visione filmica, a uno psicanalista, “racconterebbe” più di loro che del film stesso. Non c’è il “classico” lettino, ma, sostengono gli psicologi, anche una poltrona immersa nel buio della sala cinematografica, spinge altrettanto bene lo spettatore a entrare in contatto con il proprio inconscio.
Andare a cinema come andare dallo psicanalista? Sarebbe interessante conoscere cosa ne pensa Woody Allen… C’è comunque da scommettere che anche l’inconscio ha il suo peso nel successo delle creazioni cinematografiche. Non ci credete? Chiedetelo alle star, cioè ai divi, moderni idoli in carne e ossa, sui quali gli spettatori proiettano sogni, amori e desideri di identità….
Il mondo della celluloide diventa in breve tempo l’Eldorado, Hollywood la capitale di Cuccagna e, parallelamente, “fare cinema” diviene il sogno per eccellenza.
Non per tutti però.
«La riduzione cinematografica sembra inevitabile, così come i capelli alla maschietta, ma io non me li faccio fare e personalmente non voglio avere nulla a che spartire con storie di questo genere… La mia obiezione principale rimane quella che non è possibile fare delle nostre astrazioni una presentazione plastica che si rispetti un po'». Che non volesse un’acconciatura à la garçonne come quella in voga tra le ragazze degli Anni ‘20 del Novecento, era più che comprensibile, nessuno però aveva immaginato che, coerente con il proprio rigore scientifico, Sigmund Freud, nonostante la promessa di migliaia di dollari, avrebbe rifiutato di condividere le sue competenze con la Settima arte.
Alla velocità della luce o, sarebbe meglio dire, “alla velocità di 24 fotogrammi al secondo”, il successo del cinema si moltiplicò a livello planetario e non a caso, Thomas Edison, promotore dell’omonima compagnia che raggruppava le maggiori case di produzione cinematografica USA, affermò senza mezzi termini che: “Chiunque controlli il cinema, controlla il mezzo più potente di penetrazione delle masse”.
Al di là delle derive dittatoriali (Mussolini: “La cinematografia è l'arma più forte!”), il concetto espresso da Edison era molto chiaro: il cinema poteva trasformarsi nella più importante forma di propaganda per i beni di consumo. E così accadde. Le star divennero influencer ante-litteram per modelli di comportamento, mode e, naturalmente, consumi. Ieri come oggi. Lo so, non è bello da dirsi (soprattutto ai cinefili), ma, in poche parole, agli occhi dell’industria cinematografica, da decenni, prima che spettatori siamo consumatori, e non solo di film.
Come avrebbe detto qualcuno a Hollywood: è la società dello spettacolo, bellezza!