La morale ipocrita della cultura borghese ha strappato senza pietà le piume dalle ali multicolori e sgargianti di Eros, obbligandolo a frequentare unicamente le «coppie legittime». Detto con altre parole: l’essere esclusivi in amore non determina un corretto rapporto tra i sessi, il carattere “multiforme e multicorde” dell’amore non può essere ridotto a un sentimento totalizzante solo per un singolo individuo. E’ una rapida sintesi dei concetti espressi nel 1973 dalla scrittrice Erica Jong nel romanzo “Paura di volare”
Concettualmente avrebbe potuto esserlo, ma la risposta è sbagliata: in realtà è il 1923 quando Aleksandra Kollontaj, rivoluzionaria marxista, scrive la “Lettera alla gioventù lavoratrice” nel pamphlet intitolato “Largo all’eros alato!” con cui scandalizza buona parte dei membri del Consiglio dei Commissari del Popolo del governo bolscevico di cui faceva parte e dal quale, ça va sans dire, verrà rapidamente allontanata.
Aleksandra Michajlovna Kollontaj
Non ci sbagliamo però se riconosciamo nella sua idea di libero amore e quindi nell’idea della libertà sessuale come cardine indispensabile per la creazione di una società libertaria e socialista, l’anticipazione di posizioni che saranno alla base delle lotte dei movimenti di liberazione sessuale a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Prima del “make love not war”, il famoso “fate l’amore non la guerra” che accompagnò le manifestazioni contro la guerra nel Vietnam, l’idea di una rivoluzione sessuale aveva già attraversato tutta la prima metà del Novecento. A parte le teorizzazioni di Kollontaj, negli anni Venti, a ritmo di charleston, negli Stati Uniti, furono infatti le Flapper a rivendicare libertà sessuale per le donne. Le ragazze del tempo, nello scandalo generale, si ribellarono infatti agli obblighi che sancivano il diritto alla sessualità solo nel vincolo matrimoniale.
Wilhelm Reich
A lasciare un segno indelebile, però, fu indubbiamente lo psichiatra e psicanalista di origini austriache Wilhelm Reich che individuò nella repressione sessuale un importante ingranaggio delle dinamiche sociali imposte dal capitalismo. Il suo saggio “La rivoluzione sessuale” del 1936 ebbe l’effetto della famosa esclamazione del bambino della fiaba: “Il re è nudo”. Il libro, infatti, fece anch’esso cadere un muro di ipocrisie, quello che, freudianamente, addebitava i problemi di carattere sessuale esclusivamente a questioni di carattere familiare. Con la sua “scoperta” Reich, da quel momento in avanti, fece entrare a pieno diritto la sessualità nelle rivendicazioni politiche e culturali dei movimenti antisistemici. Iniziarono i membri della cosiddetta beat generation reclamando il diritto a una sessualità libera e senza confini di genere. Si può immaginare cosa ciò possa avere significato negli USA degli anni Cinquanta. A scandalizzare i benpensanti della bigotta società americana dell’epoca, non ci furono comunque solo gli amori omosessuali dichiarati e raccontati, tra gli altri, dai poeti Ginsberg, Orlovsky e Cassady: anche l’altra metà del cielo della scena beat scese in campo con racconti, poesie e ovviamente con il proprio agire, per affermare il diritto di tutte le donne al piacere sessuale. Leonore Kandel, ad esempio, pubblicò una raccolta intitolata “The Love Book” nella quale descrisse la propria vita sessuale con immagini poetiche così esplicite che il libro, considerato pornografico, fu denunciato e ritirato da tutte le librerie.
La copertina di "The Love Book" di Leonore Kandel
Negli stessi anni, anche il movimento femminista fece scalpore identificando nella sessualità rivolta esclusivamente alla maternità (fulcro di quella che l’attivista Betty Friedan chiamò “la mistica della femminilità”), la causa prima dell’insoddisfazione delle donne. Senza particolari teorizzazioni, ma con molto pragmatismo, la libertà sessuale venne poi adottata dalla generazione del rock&roll, non a caso definito “la musica del diavolo”. Grazie a tutto ciò, anche se lentamente, l’intera società cambiava. Il “colpo di grazia” al moralismo sessuofobico fu dato però dal dottor Gregory Goodwin Pincus che, grazie alle sue ricerche, regalò al mondo la pillola anticoncezionale. Nonostante gli strali che la Chiesa cattolica, i partiti conservatori di mezzo mondo e i benpensanti di tutte le latitudini lanciarono per demonizzarla e cercare così di impedirne in ogni modo la diffusione, fu proprio con la “pillola” che, simbolicamente, si inaugurarono i Swinging Sixties, i favolosi anni Sessanta.
Miniabito disegnato da Mary Quant, Utrecht 1969
Non a caso, l’effervescenza di quel decennio diede vita a un altro simbolo fondamentale per comprendere, usando le parole di Bob Dylan, quanto i tempi stessero cambiando. Nell’Inghilterra dei Beatles e dei Rolling Stones, infatti, la stilista inglese Mary Quant nel 1963, con un colpo di forbici non solo “inventò” la minigonna rivoluzionando radicalmente il look femminile, ma liberò definitivamente il corpo femminile dalle pastoie moralistiche d’antan che imponevano sottane rigorosamente sotto il ginocchio.
Poi, come si sa, ci fu il ’68 (con il suo slogan “Più faccio l’amore più mi viene voglia di fare la rivoluzione, più faccio la rivoluzione più mi vien voglia di fare l’amore”), ci furono i grandi raduni hippie di “pace amore e musica” (durante i quali la sessualità “liberata” era una componente essenziale), ci fu la rivolta dei gay a Stonewall del 1969 insieme alla nascita dei movimenti transessuali.
Pride: il sesso è politica
RSI Cultura 22.06.2023, 15:30
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Il dado sembrava tratto. Le concezioni sessuofobiche che informavano la società parevano avere i giorni contati. Purtroppo non era vero e, a oggi, non sono percepibili mutamenti positivi, anzi: la continua oggettivizzazione volgare del corpo femminile nei media e nella pubblicità e, parallelamente, la diffusione della cultura maschilista che la sottende (nei casi più gravi, alla base di stupri e femminicidi), le continue violenze contro gay, lesbiche e transessuali, stanno a dimostrare che la strada per una vera liberalizzazione sessuale è stata un’altra utopia del XX secolo.
Altro che “Eros alato”…