Territorio e tradizioni

Arance e coriandoli

Che nesso c'è fra i succosi frutti e i piccoli dischetti di carta lanciati per scherzo e gioia nei giorni di carnevale?

  • 23 febbraio 2022, 14:07
Coriandoli
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Di: Franco Lurà 

Forse qualcuno fra i lettori avrà già ipotizzato la soluzione, trovato il possibile aggancio, pensando al carnevale di Ivrea, durante il quale si sfidano vere e proprie squadre di arancieri, alcune su degli appositi carri che percorrono le vie e le piazze della cittadina, altre a piedi che lanciano il loro assalto alle prime. In un conflitto che si protrae per tre giorni, al termine dei quali una giuria elegge la squadra vincitrice. E con gli organizzatori che si premurano costantemente di far sapere che le arance in questione non sarebbero state messe in commercio, perché di qualità scadente, non adatte al consumo e quindi in ogni caso destinate al macero.

Questo è quanto è maggiormente noto; quello che invece probabilmente pochi conoscono è il fatto che anche da noi in passato, e ancora fin all’inizio del Novecento, in varie località del Cantone - nei centri maggiori quali Bellinzona, Locarno, Lugano, ma anche in alcune più discoste località malcantonesi – si tenevano dei cortei nel corso dei quali giovani e ragazzi si tiravano vicendevolmente arance e mandarini, in veri e proprio scontri senza esclusione di colpi.

L’usanza suscitava non poche perplessità e richieste di intervento da parte dell’autorità. Che effettivamente in diversi luoghi intervenne, come a Locarno, che sul finire dell’Ottocento proibì tale pratica, dannosa per le vetrine e le facciate degli edifici.

Analoga situazione e stesse preoccupazioni a Bellinzona, dove pochi anni dopo si sollecitò l’emanazione di un’ordinanza municipale per regolare e moderare il getto delle arance.

Con il passare del tempo la pratica scomparve, sostituita da quella meno pericolosa del lancio dei coriandoli. Sulla cui origine e sul cui nome oggi per lo più non ci si pone domande. Peccato, perché una sana curiosità permette di scoprire cose interessanti. Come, mi pare di poter dire, in questa fattispecie.

Coriandolo è primariamente il nome di una pianta delle Ombrellifere, e fin qui niente di speciale. Le cose cambiano quando si sa che con i suoi semi ricoperti di zucchero venivano confezionati – e l’uso è attestato già nel Cinquecento – dei piccoli confetti: i coriandoli, appunto, che, oltre che deliziare i palati e soddisfare le varie golosità, venivano pure gettati addosso alle persone nei giorni del carnevale (e i tedeschi ancor oggi chiamano i nostri attuali e variopinti pezzettini di carta Konfetti, rigorosamente con la K).

In seguito, verosimilmente per evitare un inutile spreco, ai confetti si sostituirono delle pallottoline di gesso, appositamente fabbricate: a Milano le chiamavano i benís de gèss, per ripararsi dalle quali si portava con sé un grande ombrello, l’umbrèla del sabet grass, uso che si è poi mantenuto per un po’ anche dopo la scomparsa di questi rudimentali proiettili.

Da ultimo, almeno per ora, alle palline di gesso subentratrono i moderni e meno pericolosi coriandoli, dischetti o stelline di carta colorati, che si dice fossero originariamente ottenuti, e siamo verso la metà dell’Ottocento, dalla foratura della carta per i bachi da seta, la carta di cavalée.

Tout se tient, direbbe un grande e noto linguista svizzero: è assodato, arance e coriandoli sono per lo meno in questa occasione in stretto legame fra di loro.

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