“Usano molti di serbare il Panettone di Natale fino al giorno di S. Biagio sicuri che mangiato in tal dì li preserva dal male di gola”: così scriveva nel 1811 il corrispondente del Dipartimento del Lario alla Direzione generale della pubblica istruzione e al suo direttore Giovanni Scopoli, nell’ambito di un’indagine capillare che ha fornito un primo importante sguardo d’assieme sulle tradizioni popolari nelle regioni d’Italia. Questa e altre due indagini contemporanee simili nello scopo sono conosciute con il nome di inchieste napoleoniche, perché volute e promosse dal grande e lungimirante imperatore, che voleva conoscere nei dettagli la situazione nei territori sotto la sua giurisdizione.
L’usanza di mangiare il 3 febbraio, giorno di San Biagio, un po’ del panettone natalizio è quindi antica e trova spiegazione nel fatto che ai pani benedetti in determinate occasioni veniva attribuito il potere di allontanare il male e venivano visti come “protettivi”. Si pensi, per restare nei giorni vicini alla festa del nostro santo, al pane distribuito ai fedeli per il Beato Manfredo (27 gennaio) o per sant’Antonio abate (17 gennaio), che veniva conservato e dato ai famigliari come prevenzione delle malattie o, nel caso di quello di S. Antonio, nascosto in qualche angolo della casa a protezione degli incendi.
Era quindi prevedibile che si attribuissero simili doti anche al panettone natalizio, il pane dolce della festa per eccellenza, che nell’aspetto odierno ci viene dalla vicina Lombardia, ma che in altre forme, più semplici ma pur sempre impreziosite da varie aggiunte, fra cui spicca l’uva sultanina, era ampiamente conosciuto nelle nostre case con i nomi più disparati: micón, micón di fèst, pan da Deneda, pân di fèst pagn dólc, pagn dai üghétt…
Meno evidente è capire il perché fra i vari santi si sia scelto proprio San Biagio: non trovando al momento una spiegazione migliore, ho pensato che la cosa potrebbe giustificarsi con il fatto che il 3 febbraio cade quaranta giorni dopo Natale, segnando così la fine di un periodo di morigeratezza e in parte di digiuno della stessa durata di quello della Quaresima. Ma l’ipotesi è da prendere con le pinze e merita di essere verificata alla luce di altre considerazioni più approfondite.
Chiara è invece la sua funzione a salvaguardia della gola, di cui il nostro santo è protettore: san Biás l’è süla góla e l nas, dicono nel Mendrisiotto. Una protezione che si spiega con la leggenda che vuole che il santo abbia salvato la vita a un fanciullo portatogli morente dalla madre a causa di una lisca di pesce che gli si era conficcata in gola, impedendogli di respirare. Il santo, con una semplice benedizione, salvò il ragazzo. Uno dei molti miracoli di San Biagio, raccontato, come quelli di molti altri santi, già nella Legenda aurea, scritta poco dopo la metà del XIII secolo dal frate domenicano Jacopo da Varazze, una raccolta di biografie agiografiche che per diversi secoli fu uno dei libri più letti e diffusi e un importante testo di riferimento e ispirazione per numerosi artisti.
E che ne è, per restare nel campo dei racconti leggendari, di quell’altra storia, molto più prosaica, secondo cui il panettone fu creato da un fornaio, o da un garzone di panetteria, di nome Toni, che l’avrebbe ideato per compiacere e forse conquistare la donna agognata o, a dipendenza della versione, un potente locale? Pura inventiva, un’interpretazione nata dalla fervente fantasia del popolo, che non di rado si lascia andare a questi tentativi di motivazione. La realtà è molto più semplice, quasi banale: il nostro panettone non è altro che un pane, ingentilito dall’aggiunta di ben due suffissi, -etto e -one, a fornirgli il blasone per le grandi occasioni.
Ma torniamo, per concludere, al nostro panettone di San Biagio.
Ai giorni nostri l’usanza ha assunto parvenze e valori più vicini al lato commerciale che non a quello spirituale e religioso. Ma non è solo cosa recente: a pochi passi da noi, nel Comasco, già negli anni Cinquanta del Novecento le pasticcerie e le panetterie mettevano in vendita per San Biagio due panettoni al prezzo di uno: uno raffermo, quello conservato da Natale, e uno fresco. Una proposta furba e abile, che permetteva di ossequiare, forse anche solo di facciata, la tradizione e nel contempo di dare mercato a prodotti ormai invecchiati e facilitare inoltre la promozione e la vendita di quelli nuovi.
Oggi questo espediente non è più necessario. Sugli scaffali dei negozi e dei supermercati fanno bella mostra di sé, opportunamente pubblicizzati, panettoni fragranti, sfornati per l’occasione.
La costatazione è ovvia: ancora una volta gli aspetti economici e commerciali hanno avuto il sopravvento su aspetti e considerazioni di ben altra fattura. Con buona pace di atavici saperi e di antiche e sentite tradizioni.