Territorio e tradizioni

La vendemmia sociale è in via di estinzione?

Tradizione e senso comunitario: un ponte tra passato e presente nei filari ticinesi

  • 2 ottobre, 11:30
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La pigiatura delle uve come si faceva una volta

  • © Ti-Press/Carlo Reguzzi
Di: Sebastian Cerny 

Anche quest’anno in Ticino giunge al termine il periodo della vendemmia, che non è solo un’attività agricola, ma un momento di festa e aggregazione per raccogliere il frutto del duro lavoro dei viticoltori svolto sull’arco dell’anno precedente. Oggi, nonostante l’evoluzione tecnologica e la raccolta meccanica, la vendemmia sociale è un evento simbolico che mantiene vive queste tradizioni, celebrando il connubio tra la secolare storia vitivinicola ticinese e il presente.

La vendemmia sociale si basa sulla raccolta manuale, dove i vendemmiatori, senza l’ausilio di strumenti meccanici, tagliano i grappoli d’uva e li raccolgono in specifici contenitori per poi essere portati in cantina. Questa forma tradizionale e antica di vendemmia manuale nasce come evento simbolico di incontro, scambio e festa; un momento comunitario in cui persone - anche non addetti ai lavori - si ritrovano tra i filari per lavorare insieme e festeggiare, poi, con un brindisi, la fine della raccolta.

Il fenomeno della vendemmia sociale, però, sta cambiando, come afferma Michele Conceprio, viticoltore biologico ticinese: «Il concetto di vendemmia sociale è qualcosa di molto bello, ma purtroppo oggi si fa sempre più fatica a trovare persone che hanno voglia di partecipare a questo tipo di attività». Secondo Conceprio, la vendemmia sociale, un tempo simbolo di comunità e condivisione, sta lentamente scomparendo a causa dei cambiamenti nei metodi di lavoro e nella società. «È un fenomeno in via di estinzione. Se continuiamo così, la vendemmia sociale come la conoscevamo sparirà del tutto».

La raccolta manuale assicura un’eccellente qualità delle uve raccolte grazie alla selezione accurata operata dalla mano del vendemmiatore.

La vendemmia era un momento per ringraziare la natura. Oggi, però, tutto è diventato più commerciale e meno autentico.

Michele Conceprio, Viticoltore biologico del Mendrisiotto

Storia della viticoltura in Ticino e la sua diffusione

La viticoltura in Svizzera ha origini romane e, in oltre duemila anni, ha subito molte trasformazioni. Sebbene la coltivazione della vite e la vendemmia si siano evolute, fino a tempi recenti quest’ultima ha mantenuto un forte legame con la tradizione, la socialità e la celebrazione.

Con la caduta dell’Impero Romano e durante l’Alto Medioevo, a causa delle devastazioni belliche e della crisi del III-IV secolo d.C., la viticoltura subì un forte declino, confinandosi per lo più nei terreni ecclesiastici: i monaci furono i custodi di questo sapere durante questo periodo turbolento.

Nonostante richiedesse più risorse rispetto ai cereali, la viticoltura attirò nel tempo anche la borghesia mercantile e gli artigiani, attratti dal prestigio e dal potenziale reddito. Ecco perché le vigne, spesso oggetto di furti durante la maturazione, venivano sorvegliate: nel 1483, il Consiglio di Bellinzona istituì i “campari”, incaricati di vigilare sulle vigne fino alla vendemmia, che era un momento di socialità e coinvolgeva intere comunità.

2218491_8735751_Il Regionale_La storia del Regionale_Corteo della vendemmia a Lugano.jpg

Giacomo Genora di Leontica - sacerdote cattolico svizzero e scrittore ticinese - nella sua opera Liber hexametrorum, pubblicata a Milano nel 1692 e omaggio alla sua Valle di Blenio, osservò sorpreso che si coltivava la vite anche in zone elevate come Ponto Valentino e Aquila, ancora oggi attive.
Nel 1840, Stefano Franscini documenta la viticoltura nei 38 distretti del Cantone Ticino nella sua opera “La Svizzera italiana”: Mendrisiotto, Lugano, Locarno e Bellinzona erano i principali produttori, mentre zone come Onsernone e Verzasca producevano poco o nulla. Il Mendrisiotto primeggiava al punto da far retrocedere colture storiche e di grande importanza sociale quanto economica come quella di castagni e noci. Franscini registra 17 varietà di uve nere e 12 di uve bianche, confermate nel 1892 da Domenico Tamaro, che censì 31 vitigni.

Un punto di svolta per la viticoltura ticinese è stato agli inizi del XX secolo con l’introduzione e la diffusione del Merlot, varietà originaria del Bordeaux, che ha contribuito a innalzare il profilo dei vini ticinesi.
Oggi, il Ticino produce l’8% del vino svizzero - con il Merlot che domina l’80% della produzione locale - compito di 97 cantine che impiegano 2500 viticoltori ticinesi operativi su una superficie pari a 1600 campi da calcio che ospitano 26 vitigni.

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La vendemmia oggi, con un brindisi ai tempi che furono

Dagli anni ’60 e ’70, l’introduzione di nuove tecnologie ha migliorato l’efficienza e ridotto la necessità di manodopera manuale, portando a una graduale perdita del carattere comunitario della vendemmia e all’accelerazione del processo di raccolta, limitando le possibilità di celebrare la vendemmia come un evento collettivo. «Oggi, tutto deve essere fatto di corsa. Non c’è più tempo per fermarsi e festeggiare la fine dell’anno di lavoro - spiega Michele Conceprio - con l’urgenza di portare l’uva velocemente in cantina per preservarne la qualità, l’aspetto comunitario della vendemmia è passato in secondo piano».

Nonostante ciò, c’è ancora chi cerca di mantenere viva questa tradizione: alcuni viticoltori organizzano vendemmie sociali, dove si dedica una parte della vigna alla celebrazione simbolica, mentre il resto del raccolto viene gestito con maggiore efficienza. Come racconta Conceprio: «Si ricrea la festa dell’uva, ma solo in un piccolo contesto, mentre i raccoglitori professionisti continuano il lavoro. Non è più la stessa cosa».

Tuttavia, Luca Locatelli, giovane viticoltore del Sopraceneri che insieme alla compagna Anna ha dato vita a una cantina vocata alla coltura di vigneti dimenticati, ha una prospettiva diversa rispetto a Conceprio, seppur concordando con lui su molti aspetti. Secondo Locatelli, la vendemmia sociale, è sì meno diffusa, ma non è necessariamente destinata a scomparire del tutto: «Posso essere d’accordo sul fatto che sta diminuendo, ma rimane un’opportunità per creare collettività attorno a un’attività». Per Locatelli, la chiave per mantenere viva la tradizione è organizzare questi eventi sociali con uno scopo preciso: «Fare la vendemmia sociale è un momento di condivisione molto diretto, dove le persone possono vedere da vicino il lavoro svolto, creare empatia e vivere un momento di festa».

Secondo Locatelli, forse una volta era più facile organizzare vendemmie sociali perché ognuno aveva il suo piccolo vigneto, mentre oggi, le cantine più grandi hanno molta più superficie da gestire e ciò rende difficile fare tutto manualmente: «Però - spiega - se organizzato bene, questo tipo di eventi riesce a coinvolgere ancora le persone, soprattutto in momenti specifici come la piantumazione o la raccolta di piccole porzioni di uva».

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Luca Locatelli aggiunge: «È vero, oggi tutto va fatto in fretta, soprattutto quando si deve far fronte a imprevisti meteorologici. Però noi riusciamo ancora a organizzare vendemmie sociali, anche se di piccola scala. L’importante è trovare momenti in cui la gente può partecipare, magari nei fine settimana, quando è più facile per loro». Per il giovane viticoltore, dunque, il senso della vendemmia sociale, come un tempo, non si riduce solo a raccogliere uva, ma a condividere esperienze, problemi e successi della stagione.

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Tempo di vendemmia

Il Quotidiano 24.09.2024, 19:00

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