I soldi ci sono, la causa collettiva in favore degli azionisti di Credit Suisse (CS), che ritengono di essere stati pagati troppo poco nell'ambito dell'acquisizione da parte di UBS, si farà. L'azienda LegalPass ha annunciato oggi (giovedì) che la soglia di finanziamento necessaria per dare il via all'azione legale è stata raggiunta.
Come noto, con la sua iniziativa denominata "Credit US" l'impresa - una startup fondata nel 2022 da due avvocati che ha come obiettivo di rendere il diritto accessibile a tutti - punta a contestare il rapporto di concambio (1 azione UBS per 22,48 azioni CS) stabilito nell'ambito dell'operazione orchestrata dal Consiglio federale sulla base del diritto di necessità, al di fuori quindi dei parametri legali normali.
UBS e i tagli di Credit Suisse
Telegiornale 28.06.2023, 20:00
In tal modo - aveva ricordato qualche giorno or sono la fondazione Ethos, che sostiene le mosse di LegalPass - l'istituto in difficoltà era stato valutato a soli 3 miliardi di franchi, mentre alla chiusura delle contrattazioni borsistiche di venerdì 17 marzo (prima cioè di domenica 19 marzo, giorno dell'annuncio della fusione da parte del Consiglio federale) il suo valore era di 7 miliardi. A tre settimane dal lancio della proposta di chiamare in causa i tribunali, chiedendo un indennizzo migliore per le azioni detenute, è possibile preparare e inoltrare la causa al competente tribunale di Zurigo, da parte di Andreas Hauenstein, avvocato dello studio Baumgartner Mächler.
"Questo progetto, il primo del suo genere in Svizzera, ha comportato mesi di lavoro. Ad oggi oltre 350 partecipanti hanno già aderito all'azione "Credit US", si legge in un comunicato. Come noto il diritto svizzero non conosce lo strumento della causa collettiva in senso stretto, la class action sul modello americano pensata per dare la possibilità a piccoli consumatori (o investitori) di affrontare cause altrimenti molto difficili da sostenere. La legge sulla fusione, la scissione, la trasformazione e il trasferimento di patrimonio (LFus) prevede però la possibilità di contestare il cosiddetto "rapporto di scambio delle quote".