“Ricordo che il giorno del mio ottavo compleanno mia madre era triste. Avrebbe voluto organizzarmi una festa, preparare una torta, comprarmi dei regali. Ma per noi ebrei in tempo di guerra tutto ciò era impossibile. Allora, per tirarla su di morale, le dissi: non ti preoccupare mamma, quando sarò grande farò la peacemaker, mi batterò per la pace”.
Ottant’anni dopo, Marione Ingram può dire di essere stata di parola. E rimanendo fedele a quella promessa, dopo una vita scandita da ogni tipo di battaglia, questa anziana ebrea sopravvissuta alla Shoah, continua a sfilare per la pace. Da ottobre, dalla prima rappresaglia israeliana su Gaza, Marione ogni giorno con il suo cartello a tracolla manifesta davanti alla Casa Bianca, a sostegno di un cessate il fuoco in Medio Oriente.
Marione e Daniel Ingram davanti alla Casa Bianca
Da qualche giorno è al fianco degli studenti che alla George Washington University manifestano per la Palestina: “Vengo qui – spiega – perché, in quanto ebrea sopravvissuta all’olocausto, mi sento obbligata. Io sono la donna più fortunata del mondo, perché io sono sopravvissuta”.
Ma in quanto ebrea, chiedo, non si sente a disagio a trovarsi accanto a chi contesta Israele? “Mi vergogno, provo dolore nel vedere quel che degli ebrei stanno facendo…”. Militanti e attivisti, di ogni età e credo, la salutano festosi con ammirazione e gratitudine. Accanto a loro non esita a difendere la causa palestinese: “In quel che accade a Gaza rivedo la mia infanzia, giorno e notte, a ciclo continuo. Tutto ciò che vedo a Gaza io l’ho vissuto e so esattamente come si sentono i bambini di Gaza”.
Marione Ingram davanti al presidio studentesco della George Washington University
In quanto ebrea sopravvissuta all’olocausto mi sento obbligata a venire qui
Marione Ingram
Arrivata negli Stati Uniti nel 1952, ben presto Marione sposa la causa dei diritti civili, viaggiando nel sud del Paese, a fianco degli afroamericani. Poi il Sessantotto e le proteste contro la guerra in Vietnam alternate alle marce per i diritti delle donne. Oggi, a 88 anni Marione è accanto a chi si batte per i diritti dei Palestinesi e contro l’incondizionato (dicono) sostegno americano a Israele. Ha imparato a conoscerli e rifiuta tanto le derive estremistiche quanto le accuse di antisemitismo. “Capita in ogni movimento di protesta che ci siano teste calde che fanno affermazioni folli - spiega - ma quello che vedo ora non credo sia antisemitismo. Piuttosto sono genuinamente mosse dalla tragedia umanitaria in corso a Gaza”.
Il sit-in di protesta davanti alla GWU
Marione è nata ad Amburgo nel novembre 1935, è cresciuta con la madre e le due sorelle. “L’otto novembre del ‘41, commenta guardando le fotografie, tutti i nostri cari vennero uccisi”. Nascondendosi insieme a loro in un capanno di legno è scampata ai raid nazisti e a due riprese è fuggita a un ordine di deportazione. Gli incubi della sua infanzia riemergono oggi costantemente: “Riconosco tutti i segni di chi cerca di annientare un altro popolo” afferma. Quello in corso nella Striscia è un genocidio?, chiediamo. “Assolutamente. Non è l’Olocausto, ma è un Olocausto, sicuramente un Olocausto…”.
Marione con la madre Margarete Oestreicher nel 1943
I sacrifici fatti dai genitori, la madre ebrea e il padre arruolato nella Luftwaffe, emergono spesso nel suo racconto. Dopo l’adesione al movimento per i diritti civili, Marione incontra il marito Daniel, avvocato, con cui è sposata dal 1956. Una vita insieme, fatta di battaglie spesso dalla parte scomoda della Storia e di scelte provocatorie. Per oltre vent’anni, ad esempio, dopo l’elezione di Ronald Reagan i due hanno lasciato gli Stati Uniti (per protesta contro la scelta dell’allora candidato repubblicano di tenere un comizio in Mississippi dove tre giovani attivisti vennero uccisi dal Klu Klux Klan nel 1964). Tornati a Washington, a 88 e 93 anni, non hanno perso il piglio battagliero.
Marione manifesta davanti alla Casa Bianca
Ogni pomeriggio mano nella mano s’incamminano lungo Pennsylvania Avenue per protestare contro la politica di Joe Biden in Medio Oriente. “Sta facendo naufragare le sue chance di rielezione - dice Marione amareggiata - i giovani non voteranno per lui, il che rappresenta un pericolo per il mondo se alla Casa Bianca torna quell’altro…”. In ogni luogo, con ogni mezzo, lei sfila per la pace, per un cessate il fuoco, per la fine del conflitto. “È fondamentale che la guerra cessi - spiega - perché è disastrosa anche per Israele, perché se continua così non sarà mai un posto sicuro per gli ebrei e l’antisemitismo è destinato ad aumentare con ogni bombardamento”. Davanti alla Casa Bianca, turisti e curiosi la guardano e alcuni la fotografano mentre fa il segno pacifista con la V di vittoria. Quando può attacca bottone e spiega loro le ragioni della sua presenza e del suo cartello. A Washington è primavera e Marione non si è ancora stancata di battersi per la pace.