Sei mesi fa il brutale attacco di Hamas contro Israele, sei mesi di dura risposta dell’esercito di Tel Aviv: a che punto siamo? Quanto è lontana la pace? Che bilancio fare? RSI lo ha chiesto ad Anna Momigliano, analista specializzata in Israele e questione palestinese.
“Il bilancio principale è la catastrofe umanitaria a Gaza: ma se volessimo fare un’analisi più fredda, più strategica, potremmo dire che si entrambe le parti in guerra, Hamas e in particolare la sua ala che comanda a Gaza che non è la stessa che sta in Qatar e il Governo di Netanyahu, si sono infilati in un vicolo cieco. È chiaro che l’ala di Hamas di Gaza abbia agito piuttosto sola, senza l’appoggio del Qatar, e questo ha generato risentimento. Ma lo stesso vale per Netanyahu che non sta andando da nessuna parte se non nella distruzione di Gaza e di questo gli israeliani si rendono conto. Ci sono quindi due leadership che sembrano intenzionate ad andare avanti fino allo sfinimento e si spera, ma io personalmente sono scettica, che il fatto di essere finiti nel baratro possa in qualche modo, con leadership nuove, vasa in qualche modo a resuscitare il processo di pace”.
Yahya Sinwar, capo di Hamas a Gaza, non è stato ancora eliminato; Hamas è ancora operativa così come vari “tunnel” usati dalla fazione: Israele aveva promesso di andare fino in fondo e distruggere Hamas, ma l’obiettivo sembra ancora lontano. È raggiungibile? Israele continuerà ancora su questa strada?
“Da un lato c’è effettivamente la promessa iniziale di Netanyahu e dei suoi uomini di distruggere Hamas: questa cosa non è stata realizzata ma non è neppure realizzabile: Hamas è una creatura multiforme e molto radicata. Ma sul fatto che Hamas sia ancora operativa… Beh, non sono così convinta: ricordiamoci che Hamas è tante cose, ma la parte che controlla la Striscia di Gaza, la parte che fa capo a Sinwar, personaggio non molto amato neppure dalla leadership di Hamas che sta all’estero, non ha più il controllo di fatto sulla Striscia.
Netanyahu non ha una strategia: questo è vero. Ma, non mi azzarderei a dire che comunque Hamas stia vincendo sul campo, stia mantenendo il controllo… La situazione non mi porta per niente ad avere questa opinione. Tant’è che Hamas ha dovuto interrompere i negoziati perché non riusciva più a reperire gli ostaggi israeliani”
La Striscia di Gaza
C’è un altro aspetto da tenere in considerazione: sei mesi fa il mondo si strinse attorno a Israele e nello Stato ebraico le opposizioni e l’opinione pubblica si compattarono attorno allo stesso premier Netanyahu dopo il sanguinoso attacco del 7 ottobre. Oggi la situazione è molto diversa: Israele è sempre più diviso al suo interno e criticato a livello internazionale, anche e soprattutto da uno storico alleato quali sono gli Stati Uniti… Cosa è andato storto?
“Da un lato che la memoria di quello che è successo il 7 ottobre svanisce e questo è fisiologico. E quello che è andato molto storto è il modo in cui si è comportato Israele: molti alleati stanno perdendo la pazienza. Da capire se questi sentimenti si tradurranno in passi concreti e non solo in parole. Ma io ritengo che la possibilità che Washington interrompa la fornitura di aiuti militari a Israele non sia più una cosa così inconcepibile, potrebbe succedere…”
Il conflitto rischia inoltre di allargarsi a livello regionale: Giordania e Libano sono in subbuglio; l’Iran ha promesso una risposta dopo l’attacco alla sua ambasciata in Siria…
“Certo. E su tutti i fronti citati secondo me quello più esplosivo è quello con il Libano. Israele è sempre più isolato per quanto riguarda la guerra contro Hamas, con i bombardamenti su Gaza (che hanno causato decine di migliaia di morti, ndr.), ma se dovesse scoppiare una guerra regionale, cosa che evidentemente nessuno si augura, a questo punto tutto cambierebbe: non credo proprio che gli USA isolerebbero Israele e non solo: persino i paesi arabi nemici dell’Iran non si schiererebbero contro lo Stato ebraico”.
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Telegiornale 07.04.2024, 12:30