Dopo quasi due mesi rinchiusi nei sotterranei dell’acciaieria Azovstal di Mariupol, un centinaio di civili è riuscito nel fine settimana ad abbandonare l’impianto. Un episodio che segna una svolta per queste persone, rimaste a lungo rinchiuse nell'ultimo baluardo di resistenza ucraina nella città nel sud-est del Paese, assediata dall’esercito russo. Come si è arrivati alla loro liberazione? Quali le loro sorti e quali quelle dei militari che hanno condiviso l'assedio con donne bambini? Domande che SEIDISERA ha girato al giornalista italo-svizzero Luca Steinmann, presente da settimane a Mariupol.
“Tutto è iniziato tre giorni fa, quando un gruppo di civili che era all’interno dell’acciaieria, dietro iniziativa personale, è fuggito sotto le bombe, riuscendo a nascondersi tra le macerie che circondano l’acciaieria, per poi essere raccolti dai soldati russi. Hanno mostrato in qualche modo che era possibile fuggire”, spiega Steinmann, ricostruendo così il modo in cui, dopo quasi due mesi di assedio e di stallo apparente delle trattative internazionali, la situazione si sia sbloccata per le centinaia di civili intrappolati nell’acciaieria. Dopo il primo gruppo in fuga, ieri un centinaio di civili hanno lasciato l’impianto siderurgico, grazie a un accordo tra Kiev e Mosca; altri sono in procinto di partire.
Corridoio umanitario condiviso
“Era evidente come, rispetto a giorni prima, le bombe e i missili fossero minori: i soldati russi ci dicevano (ai giornalisti, ndr.) che potevamo muoverci e camminare, raccogliere informazioni nei pressi dell’acciaieria fino a un orario prestabilito, di solito le 18.00. Questo perché a quell’ora sarebbero terminati i negoziati e sarebbero ripresi i bombardamenti – continua il giornalista – Dopo giorni, ieri finalmente e per la prima volta si è raggiunto un accordo: russi e ucraini, con la mediazione della Croce Rossa, si sono accordati per realizzare un corridoio umanitario condiviso. Si è permesso a un primo numero di cento civili di evacuare, di recarsi presso un campo profughi alle porte della città e da lì poter dirigersi verso la Russia o verso territori controllati dall’Ucraina”
Una scelta questa che, secondo Luca Steinmann, avviane più sulla scorta di ragioni pratiche che ideologiche, come la presenza di parenti, la possibilità di trovare un lavoro. Una scelta che le persone devono prendere quando sono ancora sotto shock: “Bisogna immaginare la fatica di guardare la luce del sole quando per settimane si è rimasti all’interno degli scantinati, con la confusione nel vedere il mondo esterno e la propria città, Mariupol, che non esiste più e che è sotto il controllo di un esercito che non è quello che c’era prima”.
"Non ci hanno parlato di soprusi"
Durante l’assedio dell’acciaieria Azovstal, ci si è domandato quali fossero le reali relazioni fra i militari ucraini e i civili, se si fossero riparati nell’impianto industriale o se fossero stati presi in ostaggio. “Da quanto abbiamo raccolto – prosegue Luca Steinmann – i civili non hanno parlato di soprusi da parte di militari ucraini; d’altra parte, si lamentavano di una mancanza di comunicazione, di non essere mai stati informati di quanto avvenisse fuori e delle trattative in corso per eventuali evacuazioni”.
Mentre si attende lo sfollamento degli altri civili in attesa nell’impianto industriale, resta l’incognita sulla sorte dei soldati ucraini del battaglione Azov. “Bisogna chiedersi se ci sarà una battaglia finale nella quale i russi attaccheranno l’Azovstal per sterminare i soldati del battaglione, oppure se verrà trovata una soluzione di evacuazione anche per loro: la questione è più aperta che mai”, conclude il giornalista.