"Non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere, la violenza nascosta delle chiacchiere che fanno tanto male, distruggono tanto". Ancora una volta Papa Francesco dedica una parte del suo discorso più importante dell’anno, quello rivolto alla Curia Romana, agli abusi di potere, un cancro dal quale la Chiesa cattolica non è esente. "Ciascuno – dice rivolgendosi ai suoi più stretti collaborati nell’Aula delle Benedizioni in Vaticano – non approfitti della propria posizione e del proprio ruolo per mortificare l’altro. La misericordia è accettare che l’altro possa avere anche i suoi limiti. Anche in questo caso è giusto ammettere che persone e istituzioni, proprio perché sono umane, sono anche limitate. Una Chiesa pura per i puri è solo la riproposizione dell’eresia catara".
Il cancro degli abusi
È dall’inizio del pontificato che il Papa denuncia gli abusi di potere. Per lui sono la porta attraverso la quale gli uomini di Chiesa si macchiano poi di altri abusi, i crimini della violenza sessuale e anche psicologica sui minori e sulle persone loro affidate. Per Francesco si tratta di un vero e proprio cancro, figlio anche di una Chiesa troppo autoreferenziale e chiusa in sé stessa. È un cancro di cui si macchiano anche personalità insospettabili. È degli ultimi giorni il caso del gesuita Marco Rupnik, famoso artista chiamato a decorare coi suoi mosaici gli edifici di culto di tutto il mondo e accusato di abusi psicologici e sessuali su suore in una comunità a Lubiana negli anni ’90, dichiarati lo scorso ottobre prescritti dall’ex Sant’Uffizio. I gesuiti due giorni fa hanno invitato chiunque abbia subito abusi a contattarli. In una dichiarazione pubblicata sul sito della Compagnia di Gesù, padre Johan Verschueren, delegato del preposito generale Arturo Sosa e superiore Maggiore per le Case Internazionali, ha invitato "chiunque voglia fare una nuova denuncia o che voglia discutere di denunce già fatte a contattarmi". Ha detto: "Vi assicuro che sarete ascoltati con comprensione e con empatia".
Il caso Rupnik è solo l’ultimo di una serie di casi che hanno coinvolto personalità stimate all’interno dell’orbe cattolico. Basti pensare a padre Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo stimato da Karol Wojtyla e dal suo entourage, ma che in realtà conduceva una doppia vita fatta di crimini e abusi. O anche a Jean Vanier, fondatore della comunità L’Arche, famosa in tutto il mondo per i centri in cui accoglie le persone con disabilità mentali: morto nel maggio del 2019 a novant’anni, molto ammirato e rispettato e addirittura paragonato a Madre Teresa di Calcutta, abusò sessualmente di alcune donne. Francesco ha ben presente queste devianze e questi crimini. Le sua parole di oggi entrano in un problema enorme nei confronti del quale evidentemente c’è ancora bisogno di purificazione, oltre che di denuncia e di nuove soluzioni per provare a risolvere il tutto alla radice.
Il demonio nella Santa Sede
Il problema degli abusi è grave anche perché a compierlo sono uomini che si propongono di essere guide spirituali. Francesco dedica nel suo discorso ancora un passaggio al tema, evocando addirittura la presenza del demonio: "Chi vive e lavora nella Santa Sede – dice - non è immune dal peccato e dalle tentazioni del diavolo". E ancora: "A tutti noi sarà successo di perderci come quella pecorella o di allontanarci da Dio come il figlio minore. Sono peccati che ci hanno umiliato, e proprio per questo, per grazia di Dio, siamo riusciti ad affrontarli a viso scoperto. Ma la grande attenzione che dobbiamo prestare in questo momento della nostra esistenza è dovuta al fatto che formalmente la nostra vita attuale è in casa, tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale; e proprio per questo potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire. Noi siamo più in pericolo di tutti gli altri, perché siamo insidiati dal “demonio educato”, che non viene facendo rumore ma portando fiori".
Non carezze ma parole dure
Da più parti Francesco è accusato di usare parole troppo dure proprio verso la curia romana, proprio verso coloro che dovrebbero maggiormente aiutarlo nell’esercizio del suo lavoro quotidiano. È così dall’inizio del pontificato. In ogni discorso alla curia pre-natalizio non ha mancato di bacchettare chi lavora accanto a lui. Il motivo lo spiega lui stesso quest’oggi: "Se a volte dico cose che possono suonare dure e forti – dice - non è perché non creda nel valore della dolcezza e della tenerezza, ma perché è bene riservare le carezze agli affaticati e agli oppressi, e trovare il coraggio di "affliggere i consolati", come amava dire il servo di Dio don Tonino Bello, perché a volte la loro consolazione è solo l’inganno del demonio e non un dono dello Spirito". Il papa non vuole una connivenza con il male presente entro le Mura Leonine. Anche la scelta di vivere a casa Santa Marta e non nel palazzo apostolico è figlia di un distacco da un mondo che necessita di un grande lavoro di purificazione. Francesco vuole distanziarsene e insieme cercare una strada di cambiamento ancora oggi non semplice.
L’eresia di non attualizzare il Vangelo
Fra i peccati di cui si macchia la Curia Romana e per i quali è necessaria una "conversione" c’è il "fissismo" che cristallizza il Vangelo e non lo traduce nelle situazioni attuali. "L’eresia vera non consiste solo nel predicare un altro Vangelo", ma "anche nello smettere di tradurlo nei linguaggi e nei modi attuali", dice. E sottolinea come "conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo". Francesco ricorda i sessant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, il momento nel quale la Chiesa ha deciso di non chiudersi in sé stessa ma di aprirsi al mondo, far divenire la tradizione qualcosa di vivo, che può essere rimesso in discussione, rivissuto in modo nuovo. Dice: "La conversione che il Concilio ci ha donato è stato il tentativo di comprendere meglio il Vangelo, di renderlo attuale, vivo e operante in questo momento storico. Così, come più volte era già accaduto nella storia della Chiesa, anche nella nostra epoca come comunità di credenti ci siamo sentiti chiamati a conversione. E questo percorso è tutt’altro che concluso". Per Papa Francesco "il contrario della conversione è il fissismo, cioè la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo. È l’errore di voler cristallizzare il messaggio di Gesù in un’unica forma valida sempre. La forma invece deve poter sempre cambiare affinché la sostanza rimanga sempre la stessa".
C’è in queste parole l’eco di un lavoro di fondo che Francesco sta cercando di mettere in campo. Contrastare coloro che non accettano le conquiste del Concilio, coloro che ritengono il Concilio un tradimento della stessa dottrina della Chiesa. Il Papa chiede un cambiamento di mentalità: la dottrina cattolica non è una cosa data una volta per sempre, è piuttosto in evoluzione, e come tale va guardata. Si tratta di un cambiamento di prospettiva che riguarda tutta la Chiesa, donne e uomini per i quali il Vangelo va incarnato nella quotidianità, senza temere le nuove sfide del mondo.
Non esiste una guerra “santa”
Oltre ai problemi interni ci sono quelli esterni. Da sempre la diplomazia della Santa Sede lavora per la pace in tutto il mondo. Tutti gli sforzi sono oggi per il conflitto in Ucraina. Il Papa sta cercando una strada per il dialogo. Sa bene chi è l’aggressore ma nel contempo non vuole provocarlo, anzi anche con lui cerca una mediazione. E insieme condanna tutti coloro che cercano di giustificare il conflitto nel nome di Dio. Non lo cita direttamente ma è chiaro in queste parole il riferimento al patriarca ortodosso di Mosca Kirill che più volte ha parlato di guerra "santa": "Mai come in questo momento – dice - sentiamo un grande desiderio di pace, mai. Penso alla martoriata Ucraina, ma anche a tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento. La religione non deve prestarsi ad alimentare conflitti. Il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare “santa” una guerra. Dove regnano morte, divisione, conflitto, dolore innocente, lì noi possiamo solo riconoscere Gesù crocifisso. E in questo momento è proprio a chi più soffre che vorrei si rivolga il nostro pensiero".
Papa Francesco, le dimissioni non sono un tabù
Telegiornale 18.12.2022, 21:00