I primi stranieri sabato hanno potuto lasciare il Sudan da una settimana teatro di sanguinosi scontri tra le forze armate, fedeli al generale presidente Abdel Fattah al Burhan e i paramilitari delle Rapid Support Forces del generale vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo. La prima grande operazione di evacuazione di civili è stata portata a termine dall'Arabia Saudita, mentre a Khartum, dopo una notte relativamente tranquilla, erano ripresi i combattimenti. Il ministero degli Esteri saudita ha reso noto che 157 persone sono arrivate nella città portuale di Gedda. Si tratta di 91 sauditi e 66 cittadini di altre 12 nazioni: Kuwait, Qatar, Emirati Arabi, Egitto, Tunisia, Pakistan, India, Bulgaria, Bangladesh, Filippine, Canada e Burkina Faso.
Il Sudan è il 16esimo Stato al mondo più esteso con una superficie di quasi 1,9 milioni di chilometri quadrati
A muoversi sono anche gli altri Stati che hanno propri cittadini nel Paese africano. In totale si tratta di diverse migliaia di persone (diplomatici, operatori umanitari ecc), tra cui un centinaio di svizzeri. La Giordania ha fatto sapere che ha iniziato l'evacuazione di 300 concittadini. L'esercito sudanese ha annunciato che "Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Cina evacueranno i loro diplomatici e cittadini con i loro aerei militari". In Germania una riunione di crisi si è tenuta sabato per discutere la fattibilità di un'operazione dopo che tre aerei militari mercoledì sono stati costretti a tornare indietro. Stati Uniti, Corea del Sud, Gran Bretagna e Giappone stanno dispiegando forze nei Paesi vicini da diversi giorni e l'Unione Europea sta valutando misure simili. L'Italia ha approntato un piano per portare 200 persone da Khartum a Gibuti dove si trovano già gli apparecchi dalla 46/a Brigata aerea di Pisa. Tutti sconsigliano ai propri concittadini di tentare di lasciare il Paese con i propri mezzi.
Svizzera in contatto con altri Paesi
Anche la Svizzera si sta muovendo. Il Dipartimento federale degli affari esteri, contattato dalla RSI, per il momento si limita a dire che sta costantemente valutando opzioni e misure che possono essere prese sulla base di diversi scenari. Le autorità elvetiche sono in contatto con Stati terzi e possono eventualmente partecipare a misure di salvataggio di altri Paesi. Per motivi di sicurezza, conclude il Dipartimento guidato da Ignazio Cassis, non possono essere resi noti ulteriori dettagli.
Tregua non rispettata
Decidere il dà farsi e trovare il momento giusto per agire non è semplice anche perché, finora, stando alle testimonianze raccolte soprattutto a Khartum, è stato poco rispettato il cessate il fuoco di tre giorni annunciato da entrambe le parti venerdì sera. La tregua, per la fine del Ramadan, doveva permettere ai civili di lasciare i luoghi teatro dei combattimenti e agli stranieri di andarsene dal Paese. Le due parti sono impegnate in una guerra sul terreno ma anche di comunicazione. Impossibile sapere chi controlla gli aeroporti, in che condizioni si trovano dopo essere stati teatro di pesanti combattimenti fin dal primo giorno del conflitto e sapere di preciso cosa sta capitando nel resto del Sudan, come in Darfur dove gli operatori umanitari parlano di una situazione "catastrofica".