I violenti combattimenti tra l'esercito sudanese e le Forze paramilitari di supporto rapido (RSF) a Khartum si sono attenuati, ma non sono cessati del tutto malgrado la tregua.
Al termine del settimo giorno di scontri, che hanno causato 413 morti e 3'551 feriti, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), era stata chiesta una tregua in occasione di Eid al-Fitr, la festa di tre giorni che segna la fine del Ramadan, iniziata venerdì. La RSF in mattinata e l'esercito in serata hanno annunciato che avrebbero accettato questa pausa nei combattimenti. Ma, come accade da diversi giorni, entrambe le parti si sono accusate di aver violato la tregua. Se nella notte su oggi, sabato, non sarebbero state sentite esplosioni, non è chiaro se questo aspetto "riguardi tutta la capitale Khartum" ha affermato il segretario di Stato americano Antony Blinken che ha aggiunto come "è chiaro che i combattimenti sono ancora in corso e che non c'è fiducia tra le due forze".
Il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato venerdì sera di essere "attualmente incerto se intraprendere l'evacuazione dei dipendenti statunitensi" a causa della "chiusura dell'aeroporto internazionale" di Khartum - dove sono iniziati i combattimenti. Immediatamente, la RSF - molto attiva sui social network - ha risposto di essere "pronta ad aprire tutti gli aeroporti del Sudan" in modo che "i Paesi amici che vogliono evacuare i loro cittadini" possano farlo. Al rimpatrio dei propri concittadini stanno pensando anche diversi altri Paesi. Per quanto riguarda il centinaio di svizzeri, il DFAE ha fatto sapere venerdì di non essere in grado di garantire un'evacuazione sicura. I cittadini elvetici, personale diplomatico compreso, sono quindi per ora costretti a restare sul posto.
Da sette giorni, entrambe le parti hanno affermato di detenere molti edifici strategici, tra cui l'aeroporto. Ma i raid aerei, il fuoco incrociato e i combattimenti sono così intensi che è impossibile verificare sul campo.