La situazione in Ucraina rimane fluida, tra le provocazioni militari sulla linea del fronte del Donbass che coinvolgono i separatisti filorussi e l’esercito di Kiev, e il duello politico tra Russia e Occidente, con il lavoro della diplomazia internazionale per evitare che il conflitto iniziato nel 2014 nell’ex repubblica sovietica possa allargarsi. Se da un lato gli Stati Uniti ritengono ancora all’ordine del giorno un’invasione dell’Ucraina, dall’altro la Russia nega la volontà di iniziare una guerra, anche se mantiene una più che robusta presenza militare a ridosso della frontiera e manovre sono ancora in corso e proseguiranno nei prossimi giorni in vari angoli sul lato occidentale della Federazione russa e tra il Mar Nero e il Mediterraneo. In Ucraina l'allarme è alto, ma un attacco su larga scala non è ritenuto imminente.
Ci sarà l’invasione?
Gli Stati Uniti e la Nato sono convinti che sia possibile e il pericolo più che attuale. L’allarme non è nuovo e da quando lo scorso autunno è iniziato l'ammassamento di truppe russe verso il confine ucraino e in Crimea, penisola ucraina annessa dalla Russia nel 2014, sono state comunicate diverse date per l’invasione, probabile prima a dicembre, poi a metà gennaio, poi esattamente il 16 febbraio. Dopo il 20 febbraio, giorno di chiusura delle Olimpiadi di Pechino, si apre un’altra finestra in cui secondo fonti di intelligence occidentali Vladimir Putin potrebbe dare l’ordine di assalto. Stando a Washington e alla Nato, Mosca ha già schierato tra i 120 e i 150 mila uomini pronti per l’invasione. Il Cremlino nelle scorse settimane ha più volte ribadito invece che non ha nessuna intenzione di scatenare un conflitto, ha liquidato le accuse come isteria occidentale e giustificato l’ampio schieramento di forze con esercitazioni che ha il diritto di tenere dove vuole sul proprio territorio. A Kiev il presidente Volodymyr Zelensky ha più volte relativizzato il pericolo dell’invasione imminente, entrando anche in collisione con quello statunitense Joe Biden, facendo notare che comunque l’Ucraina è di fatto in guerra dal 2014.
Quanto conta la propaganda?
Quando le posizioni sono così contrapposte e le versioni si scontrano la propaganda ha un ruolo fondamentale, su tutti i lati. Gli scambi di accuse sulla scacchiera internazionale tra Russia e Occidente e quelli nel Donbass tra separatisti filorussi e il governo di Kiev fanno parte di un gioco più ampio che non è, ancora, quello militare, ma rientra comunque nell’ottica di una guerra, quella dell’informazione, che corre sul binario parallelo. Si tratta ovviamente della diversa interpretazione e percezione degli eventi, per cui le truppe russe al confine ucraino per Mosca sono lì per compiere manovre di routine, per Washington stanno preparando da un momento all’altro il saccheggio del paese e mettono in conto 50 mila morti, mentre a Kiev si vede il tutto tra paura e rassegnazione ormai da qualche anno. La realtà è che nessuno sa veramente se e quando potrà esserci un attacco su larga scala, probabilmente neppure lo ha già deciso Vladimir Putin, che è interessato più a una strategia coercitiva, che comprende mezzi tecnico-militari, che non a un’invasione vera e propria e alla re-inclusione dell’Ucraina in una URSS 2.0. La disinformazione russa serve in ogni caso a intorpidire le acque, per lasciare nell’incertezza gli avversari e rafforzare la propria posizione sia nel caso di scontro militare che in quello di trattative diplomatiche. Quella occidentale, o per meglio dire statunitense, ammessa per la prima volta anche dalla Casa Bianca dopo il caso emblematico del 2003 con la falsificazione delle prove per giustificare l’attacco in Iraq, ha lo scopo dichiarato di scoprire in anticipo le carte russe ed evitare così un conflitto continentale e quello non dichiarato di ridefinire gli equilibri sia interni che transatlantici, con il riavvicinamento forzato tra gli alleati, soprattutto i tedeschi.
Cosa c’entra il gas?
La guerra dell‘informazione è collegata direttamente a quella del gas, che a sua volta ruota intorno al gasdotto Nordstream, che dal 2011 collega direttamente Russia e Germania: il secondo braccio non è ancora entrato in funzione e rischia di essere bloccato definitivamente se nel caso di un’invasione russa dell’Ucraina dovesse entrare nel pacchetto di nuove sanzioni occidentali contro Mosca. Per lo stop spingono gli Usa e i paesi della Mitteleuropa, insieme con l’Ucraina. Le resistenze arrivano in primo luogo dalla Germania, che prima con Angela Merkel e ora con Olaf Scholz si è schierata a difesa della pipeline. Berlino ha bisogno del gas russo, soprattutto dopo la decisione di abbandonare il nucleare e il carbone e in vista della cosiddetta transizione verde. Se Nordstream 2 entrasse in funzione il passaggio del gas russo attraverso l’Ucraina verrebbe ridotto a favore appunto della via settentrionale e con il bypass verrebbero meno per Kiev le tasse di transito pagate dalla Russia, che ammontano a oltre un miliardo di dollari all’anno. L’obbiettivo degli Stati Uniti è inoltre quello di entrare nel mercato europeo con l’esportazione del proprio gas naturale liquido. La realtà, al di là della campagna politico-mediatica contro i tubi russo-tedeschi, è comunque che, anche con il blocco di Nordstream 2 che andrebbe a pesare solo sulla Germania tenendo a galla l’Ucraina, sarebbe in ogni caso gas russo quello che continuerebbe ad arrivare in Europa attraverso Nordstream 1, e gli altri due gasdotti che attraversano Polonia (Yamal) e Ucraina (Nordstream).
Come se ne esce?
Il dossier energetico e quello geopolitico, anche se si intrecciano, sono separati. Dalla dipendenza dal gas e dal petrolio russo non se ne può uscire in fretta, visto che l’Unione Europea importa da Mosca oltre un terzo del gas (43,3% nel 2020) e più di un quarto del petrolio (25,5% nel 2020), valori che differiscono da paese a paese, ma che potranno essere ridotti solo gradualmente nel giro di un paio di lustri. Il duello del Donbass e quello tra Russia e Stati Uniti necessitano invece di soluzioni urgenti, immediate. Per il sudest ucraino la base della risoluzione del conflitto è quella tracciata negli Accordi di Minsk, firmati nel febbraio del 2015 e che hanno impegnato separatisti filorussi e Kiev in un processo di pacificazione garantito da Russia, Francia e Germania. Il piano prevede una parte militare e una parte politica, finora rimaste lettera morta. La questione tra Mosca e Washington è molto più complessa, a partire dalla richiesta di Putin a Biden sulla ridefinizione degli equilibri in Europa e l’ingresso dell’Ucraina nell’alleanza Atlantica, considerato un vero e proprio tabù per il Cremlino. Entrambe le parti, nonostante i venti di guerra, hanno sempre ribadito la volontà per una soluzione diplomatica, che dovrà passare per un difficile compromesso che in qualche modo dovrà far uscire tutti vincitori, gli ucraini compresi, che nel braccio di ferro che ha fatto resuscitare la Guerra fredda sono quelli che hanno maggiormente da perdere.
Ucraina, recrudescenza della crisi
Telegiornale 17.02.2022, 21:00
Notiziario ore 16, 18.02.2022
Notiziario 18.02.2022, 17:14
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