In una città messa in ginocchio dalla crisi economica, sociale e dall’esplosione del porto, le code per riuscire a procurarsi beni di prima necessità si allungano sempre di più. A Beirut, la farina sta diventando un bene di lusso. E inizia a scarseggiare anche sul mercato.
Il Libano importa circa l'85% delle proprie scorte di grano da Ucraina (70%) e Russia (15%). "Abbiamo un mese di riserve. La crisi la vedremo fra qualche settimana e potrebbe causare disordini sociali. Siamo a un punto di non ritorno", spiega Walid Attallah, manager della Wooden Bakery, una delle fabbriche di pane più grandi del paese.
Anche nei piccoli forni, i panettieri raccontano di essere costretti a comprare la farina al mercato nero e ad aumentare il prezzo dei propri prodotti. Già in queste settimane, il Governo ha razionato la quantità di farina disponibile, così la produzione delle grandi catene è cambiata, riducendo le quantità di pane nei sacchetti venduti nei diversi punti vendita.
La crisi alimentare rischia di aggravare la già fragile situazione del Libano dove il potere d’acquisto è drasticamente diminuito con la svalutazione della lira libanese. Il Ministro dell’economia Amin Salam, intervistato dalla RSI, spiega che il Governo sta provando a siglare accordi con altri Paesi per importare grano, ma le risorse economiche del Libano sono ristrette poiché il Paese è in default dal 2020. Il Governo libanese ha siglato un accordo preliminare con il Fondo monetario internazionale per ottenere una nuova tranche di finanziamenti.
Di fronte all’assenza dello Stato, i giovani della società civile si sono riorganizzati per raccogliere cibo prodotto con ingredienti locali e redistribuire pasti pronti ai cittadini più bisognosi. Nella stazione di servizio di Geitawi, in uno dei quartieri più danneggiati dall’esplosione, il progetto Nation Station costituisce un’alternativa organizzativa, economica e sociale per supportare le persone più vulnerabili.