Allo scadere della prima fase della tregua iniziata il 19 gennaio, Israele ha annunciato la sospensione immediata da questa domenica degli aiuti umanitari che attraverso il suo territorio entrano nella Striscia di Gaza. “Non accetteremo il cessate il fuoco senza liberazione degli ostaggi”, si legge in una nota diffusa dall’ufficio del premier Benjamin Netanyahu, in cui si minacciano “altre conseguenze”.
Per lo Stato ebraico si tratta di una decisione simbolica, perché sostiene che nei 42 giorni di tregua oltre 25’000 camion di cibo e merci siano entrati nella Striscia e che queste scorte possano bastare per quattro mesi agli oltre 2 milioni di abitanti. Ma per Hamas si tratta di un ricatto, di un crimine di guerra e di una palese violazione degli accordi presi.
Con la mediazione di Qatar ed Egitto, Israele e Hamas in gennaio si erano accordati infatti su un calendario che prevedeva - durante le sei settimane di cessate il fuoco - negoziati per attuare la seconda fase che avrebbe dovuto iniziare proprio oggi. Le trattative non sono mai decollate, in particolare per le resistenze di Tel Aviv. Israele sabato ha accettato invece la proposta dell’inviato statunitense Steve Witkoff per estendere la fase uno fino al termine delle festività del Ramadan per il musulmani e della Pasqua ebraica, quindi fino a metà aprile.
Una soluzione che avvantaggia Israele, perché permette al suo esercito di restare nella Striscia - dove ha lasciato alcune aree ma resta presente in altre di importanza vitale - mentre con la seconda fase dovrebbe andarsene. La proposta di Witkoff prevede il rilascio di tutti gli ostaggi in due tappe, la seconda delle quali subordinata a un accordo per un cessate il fuoco permanente ancora da negoziare. Si tornerebbe quindi di fatto alla casella di partenza di un mese e mezzo fa.
“Netanyahu non ha mai nascosto di non voler far terminare la guerra a Gaza”, ha detto alla RSI Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica di Milano ed esperto di relazioni internazionali. Una linea condivisa dagli alleati di governo e dalla destra israeliana, come ha ricordato Valeria Talbot, responsabile del Centro Medio Oriente e Nord Africa dell’ISPI. E all’interno dello stesso Stato ebraico, le famiglie dei rapiti accusano Netanyahu di aver “orchestrato la crisi nei negoziati”, come ha dichiarato Einav Tsangaoker, madre di Matan. Il primo ministro ha inviato al Cairo una “delegazione fittizia senza un reale mandato”, ha detto.
Hamas della proposta di Witkoff non ne vuole sapere: vuole proseguire secondo gli accordi che erano già stati raggiunti e sottoscritti dalle due parti e chiede ai mediatori e alla comunità internazionale di fare pressione su Israele affinché questo accada. L’intesa di gennaio prevedeva il rilascio di 33 ostaggi da una parte e 2’000 prigionieri dall’altra nella prima fase, mentre la seconda fase dovrebbe includere i passi che porterebbero alla liberazione dei 59 ostaggi restanti (una trentina dei quali ritenuti morti), ma anche al ritiro totale di Israele dalla Striscia e alla fine definitiva della guerra.
Intanto, gli attacchi israeliani nella Striscia hanno causato nel corso delle prime ore di domenica quattro morti e sei feriti.
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Incertezze sulla tregua a Gaza
Telegiornale 01.03.2025, 20:00