Analisi

L’Ucraina e il nodo del mantenimento della pace

Mosca esclude truppe dei Paesi NATO, aprendo implicitamente a una missione ONU, ma ora spunta anche la Cina – La difficile quadratura del cerchio e il precedente disastro degli accordi di Minsk 

  • 24 marzo, 05:46
  • 24 marzo, 17:44
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Saranno i noti caschi blu ad occuparsi del peacekeeping? O i Paesi europei? O forse la Cina? Le risposte mancano ancora

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Di: Stefano Grazioli 

La diplomazia internazionale si sta ormai concentrando sui negoziati per arrivare a una soluzione del conflitto in Ucraina. L’accelerazione impressa dal nuovo presidente degli Stati Uniti sin da febbraio sta imponendo un calendario molto stretto, con colloqui diretti tra Washington e, separatamente, Kiev e Mosca. L’obbiettivo è quello di preparare un tavolo comune dove riunire prima di tutto appunto Russia e Ucraina e raggiungere il cessate il fuoco entro Pasqua, che quest’anno cade il 20 di aprile, sia per il mondo cattolico che per quello ortodosso. L’alleanza occidentale che ha sostenuto per tre anni il presidente Volodymyr Zelensky si è di fatto divisa, con Donald Trump che ha assunto il ruolo di mediatore e l’Unione Europea, poco coesa al suo interno, che con quella che è stata battezzata la coalizione dei volenterosi è rimasta un po’ isolata ad appoggiare l’Ucraina.

In sostanza sono Stati Uniti e Russia che stanno costruendo la cornice in cui si dovranno muovere tutti gli altri attori in campo, partendo dalla situazione che vede Mosca in vantaggio sul terreno, mentre Kiev e sostenitori hanno dovuto cambiare rotta per forza di cose, abbandonando il progetto di porre termine al conflitto mirando alla sconfitta della Russia. La realtà è dunque che al momento la contesa si è spostata più sul versante diplomatico che su quello militare, con la guerra che comunque va avanti.

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Verso la ricostruzione dell’architettura di sicurezza europea

In questo contesto l’attenzione sta convergendo su quella che potrebbe essere prima la tregua e poi la fine definitiva del conflitto e soprattutto su quelle che saranno le modalità di mantenimento della pace. Questa è una delle questioni fondamentali sulle quali dovrà essere costruita l’eventuale intesa, a sua volta base della nuova architettura di sicurezza europea e internazionale: non si tratta unicamente del fattore militare e dei rapporti bilaterali tra Ucraina e Russia, tra i nuovi confini e il loro monitoraggio da parte di forze di peacekeeping, come accaduto tra il 2014 e il 2022 durante la prima guerra nel Donbass, ma della costruzione di un sistema politico di accordi e garanzie che possa resistere a nuove scosse che potrebbero essere peggiori di quelle già arrivate. Da questo punto di vista le trattative su come il possibile cessate il fuoco a breve termine possa trasformarsi in una pace duratura saranno tutt’altro che facili. A partire dal fatto che sino ad oggi non sono state proposte soluzioni davvero realistiche e anche gli esempi del passato non possono essere utilizzati certo come modelli.

Il disastro degli accordi di Minsk

Gli accordi di Minsk del 2015, siglati nel febbraio di dieci anni fa da Vladimir Putin e dall’allora presidente ucraino Petro Poroshenko, pur con le garanzie offerte dagli altri firmatari - la cancelliera tedesca Angela Merkel e il capo di stato francese Francois Hollande - sono stati disattesi da tutti, Mosca, Kiev e garanti compresi. Per di più l’OSCE, l’Organizzazione per la sicurezza e lo sviluppo in Europa, che aveva il compito di sorvegliare la tregua, si è trovata di fatto impreparata a gestire la situazione. L’intesa, che constava sostanzialmente di una parte militare e una parte politica, non è stata mai davvero implementata e perciò non ha evitato l’allargamento del conflitto con l’invasione russa del 2022.

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Al momento le posizioni espresse a proposito del futuro monitoraggio internazionale non sono ben definite e sono in evoluzione: da una parte la Russia ha rifiutato in maniera categorica l’eventuale presenza di truppe di pace dei Paesi NATO in Ucraina, ritenendo l’Alleanza atlantica un attore non neutrale e aprendo quantomeno implicitamente a una possibile missione sotto l’egida delle Nazioni Unite; dall’altra, dopo lo smarcamento statunitense, l’Unione Europea ha rilanciato con un piano a diversi livelli che prevede comunque l’impegno della coalizione dei volenterosi, dentro e ai margini dell’Ucraina.

Le garanzie internazionali

La novità degli ultimi giorni è rappresentata dai rumors sulla possibilità di partecipazione della Cina a una missione internazionale di peacekeeping che, al di là della consistenza e della veridicità, indica in ogni caso come sia necessario allagare il campo dei negoziati ai grandi attori mondiali che, pur seguendo a distanza, si sono comunque schierati. Per quel che riguarda Pechino, a fianco di Mosca.

In questa fase di avvicinamento alle trattative dirette, che potrebbero rivelarsi decisive, la Russia è favorita non solo dal quadro militare, ma anche dal supporto che le arriva dalla Cina e dal resto dei paesi del Sud globale, mentre l’Ucraina appare in difficoltà su entrambi i fronti, pressata anche dagli Stati Uniti: Zelensky ha chiesto garanzie forti per il proprio paese che dovranno essere inserite in un accordo ad ampio raggio che non contempli solo gli elementi militari e territoriali, ma abbia una dimensione politica che consenta di evitare il ritorno al conflitto. Vale a dire, in primo luogo per il Cremlino, lo status neutrale di Kiev, restando fuori dalla NATO. Già nella bozza degli accordi di Istanbul del 2022, poi saltati per diversi motivi, il dossier politico era stato delineato e condiviso in maniera abbastanza chiara, con anche la possibilità per Kiev di aderire all’UE, ed è da lì che va ripreso il filo.

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L'Ucraina chiede all'UE di mantenere alta la pressione su Mosca

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