"Nel momento in cui Mosca si sente ascoltata e vengono prospettate delle possibilità di dialogo la tensione diminuisce": Aldo Ferrari esperto di Russia dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) di Milano e professore all'Università Ca'Foscari di Venezia analizza così i primi segnali distensivi al confine ucraino, da dove il Cremlino ha confermato di aver iniziato a ritirare un numero imprecisato dei quasi 150'000 soldati schierati nelle ultime settimane e che avevano fatto gridare l'Occidente all'imminente invasione.
Mentre fonti statunitensi citate dalla CNN preannunciavano l'attacco addirittura per domani, mercoledì, è quindi arrivato un segnale contrario. "Avevamo sempre detto che terminate le esercitazioni le truppe sarebbero tornate alle loro basi", ha dichiarato il portavoce Dmitri Peskov, denunciando "l'isteria occidentale".
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz è al Cremlino
Per Ferrari è ancora "troppo presto" per trarre conclusioni definitive, ma ci sono "segnali positivi" che emergono anche dal dialogo fra Mosca e la Germania, "che ha un peso politico e un'attitudine notevole a parlare con la Russia". Il cancelliere Olaf Scholz, dopo aver incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è stato accolto oggi, martedì, da Vladimir Putin.
Putin al quale la Duma - il Parlamento russo - ha chiesto in mattinata di riconoscere l'indipendenza delle regioni controllate dai separatisti nell'est ucraino. Una mossa "che inasprirebbe di molto la situazione" e che secondo Ferrari resterà sospesa e potrebbe essere vista "come un'ulteriore forma di pressione per imporre trattative serie e costruttive".
La Russia ha chiesto moltissimo, non solo l'esclusione di un'adesione dell'Ucraina alla NATO, che comunque non è oggi all'ordine del giorno, ma anche un passo indietro dell'Alleanza fino alle posizioni di 20 anni. "È più di quanto l'Occidente voglia e possa concedere", riconosce Ferrari, ma Putin "ha chiesto 100 per ottenere 50 o forse 20. E questo 20 può essere per l'appunto l'inizio di trattative". Per l'esperto italiano "ci sono esigenze di sicurezza russe da comprendere e gli accordi di Minsk II mai realizzati". Per "interrompere la spirale negativa" potrebbero bastare "segnali espliciti di volontà di dialogo" da parte dell'Occidente. Gli accordi di Minsk, firmati nel 2015, dovevano servire a mettere fine ai combattimenti nelle zone di Donetsk e Luhansk - effettivamente calati di intensità da allora - e ripristinare il controllo ucraino su quel confine. In cambio però di uno statuto speciale per quelle aree russofone e dell'organizzazione di elezioni. Il livello di autonomia da concedere e l'ordine di applicazione dei vari punti continuano tuttavia a dividere.