Esattamente settant’anni fa, il 3 gennaio 1954, alle ore 11, iniziavano i programmi televisivi regolari della RAI.
Esisteva un unico canale televisivo, il Programma Nazionale, il secondo sarebbe nato solo nel 1961, lo stesso anno in cui iniziarono anche le trasmissioni regolari della TSI. I programmi erano prodotti a Torino, Milano e Roma (la sede di Napoli sarebbe arrivata solo nel 1963) e il segnale copriva circa un terzo della popolazione italiana, che allora era inferiore ai 48 milioni.
La copertura lambiva la Svizzera italiana, per esempio nel Sottoceneri - dal trasmettitore del Monte Penice (PV), ancora oggi uno dei principali per la Lombardia - mentre il Sud e la Sardegna avrebbero dovuto attendere per anni il completamento della rete di ripetitori. Ma anche se il segnale fosse arrivato subito, in pochi ne avrebbero approfittato. Un televisore costava quanto tre stipendi da impiegato, per anni la fruizione fu collettiva: la TV si guardava al bar, nelle piazze, nei cinema.
“Facciamo una fatica enorme a capire che cosa ha rappresentato il suo avvento” dice alla RSI il critico televisivo Aldo Grasso, autore, tra le molte opere, di una “storia critica della televisione italiana” (il Saggiatore, 2019) “L’Italia, ma anche la Svizzera, erano un altro mondo. Fino a quel momento per conoscere bisognava uscire di casa, bisognava muoversi. E la grande rivoluzione della televisione è stata quella invece di portare il mondo in casa”.
La RAI ha contribuito grandemente al processo di modernizzazione del Paese e in particolare alla sua unificazione linguistica, ma è stata anche a lungo uno strumento al servizio di chi governava. Poi, con la riforma del 1975 il suo controllo politico è passato al Parlamento ed è nata la “lottizzazione”, ovvero la spartizione di reti e testate giornalistiche tra i principali partiti, di governo e di opposizione.
Oggi, come molti servizi pubblici europei, la RAI deve fare i conti con uno scenario lontano anni luce da quel 1954: il tramonto dei canali tradizionali a favore delle piattaforme “on demand”, l’enorme proliferazione e globalizzazione dell’offerta, lo strapotere dei privati (che nacquero fuorilegge e poi a lungo furono piccole realtà malamente tollerate) ma anche il mutare dei gusti del pubblico, specie quello più giovane. Se da una parte fenomeni sociali come “Lascia o raddoppia” (il primo telequiz di massa) sono irripetibili e il vizio di considerare l’azienda “terreno di caccia” della politica rimane, dall’altra servizio pubblico radiotelevisivo italiano non ha smesso di avere ancora qualcosa da dire.