Mille giorni di guerra hanno cambiato la Russia. Nonostante il teatro dello scontro militare sia principalmente l’Ucraina, i riflessi del conflitto sono arrivati ovunque, da Mosca a Vladivostok, passando per la regione di Kursk, dove una piccola area del paese è adesso occupata dalle forze di Kiev. L’incursione ucraina cominciata ad agosto di quest’anno, con la sorpresa del Cremlino colto in contropiede, dura ancora oggi, in apparenza ininfluente sull’andamento complessivo della guerra, sempre più a favore della Russia. Vladimir Putin, dopo il fallito Blitzkrieg e la mancata presa di Kiev tra febbraio e marzo di due anni fa, ha innestato le ridotte e sta conducendo dall’aprile del 2022 una guerra di logoramento, lenta e strategica, a fasi alterne, ma con due obbiettivi precisi: quello specifico di neutralizzare, per così dire, l’Ucraina, e quello più ampio di rimodulare gli equilibri geopolitici mondiali a favore del variegato fronte anti-USA.
I cambiamenti interni
Le conseguenze di questo doppio piano sono state inevitabili, sia per quel riguarda la situazione russa interna che sul piano internazionale. Dal primo punto di vista si è assistito ad un’accelerazione dei processi avviati negli scorsi decenni, soprattutto con il terzo mandato di Putin (2012-2018) e la prima crisi ucraina del 2014: accentramento autoritario del potere, controllo e repressione del dissenso sono state le caratteristiche più marcate del sistema putiniano, ancora più irrigiditosi dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. In quasi tre anni di guerra il Cremlino ha assunto in sostanza il controllo totale dei processi politici e della comunicazione, almeno quella mainstream, soffocando ogni tipo di opposizione e critica, a qualsiasi livello, politico e sociale. Il caso della rivolta di Evgeny Prigozhin, il capo della compagnia privata Wagner che nel giugno dello scorso anno aveva tentato una sorta di golpe e poi è morto in un’incidente aereo poco casuale, ha dimostrato come in realtà l’architettura era solida e da allora si è ulteriormente rafforzata.
La congiuntura economica
Le elezioni presidenziali dello scorso marzo, pur con numeri da prendere con le molle nel contesto di una democrazia controllata, hanno sigillato le crepe fra i vari gruppi di potere all’ombra del Cremlino che erano emerse all’inizio del conflitto e ritornate nelle fasi meno favorevoli. Come in Ucraina l’andamento negativo della guerra ha avuto effetti analoghi per Volodymyr Zelensky, così in Russia Putin ha beneficiato di quello positivo: a ottobre la sua popolarità è salita all’87%, i dati sono quelli del Levada Center, istituto indipendente classificato a Mosca come “agente straniero”. Il presidente russo ha approfittato anche della congiuntura economica tutto sommato favorevole: da un lato la Russia non è affatto isolata sui mercati internazionali e ha trovato in buona parte le contromisure alle sanzioni occidentali; dall’altro l’economia di guerra sta tenendo in piedi settori fondamentali e con una crescita del PIL di oltre il 3% non sembra esserci spazio al momento per pericolose cadute o rivolte sociali.
Gli equilibri esterni
Sul fronte internazionale la Russia di Putin ha dimostrato di non soffrire la barriera d’isolamento eretta da Stati Uniti, Unione Europea e G7. Se i mille giorni di guerra hanno portato cambiamenti, lo hanno fatto anche quindi sul lato opposto, dove il fronte antioccidentale sembra aver preso più consistenza, sia all’interno di organizzazioni come BRICS che nello stesso G20. L’alleanza sempre più stretta tra Russia e Cina, con i paesi del Sud globale e anche con partner più emarginati come Corea del Nord e Iran, è un risultato del conflitto ucraino, percepito in maniera differente al di fuori dell’Europa e degli USA. Non solo: ad acuire la frattura è subentrata dallo scorso anno anche l’escalation in Medio Oriente, con la carta bianca sostanzialmente rilasciata a Israele dall’Occidente che ha evidenziato ancora una volta in maniera eclatante il sistema dei due pesi e delle due misure utilizzato da Washington e Bruxelles.
Le prospettive
Resta da vedere in ogni caso cosa succederà nel futuro e, come a Kiev, anche a Mosca si attendono le mosse concrete del prossimo inquilino della Casa Bianca. L’imprevedibilità di Donald Trump è un fattore che il Cremlino non può calcolare, ma è evidente che l’intenzione di Putin è quella di proseguire il conflitto dalla posizione di vantaggio che la Russia ha fino ad ora acquisito ed eventualmente di aprire il dialogo partendo dallo status quo. Nella cornice di una guerra di logoramento, dove risorse e riserve proprie, soprattutto umane, giocano uno dei ruoli principali, il Cremlino ritiene di avere le carte migliori per proseguire i propri obbiettivi e poter imporre un compromesso alle proprie condizioni, almeno al momento.
Mille giorni di guerra: qui, l’analisi dalla prospettiva ucraina:
Mille giorni di guerra in Ucraina
Telegiornale 19.11.2024, 12:30