In Iraq, a quasi sei anni dalla sua liberazione, Mosul, divenuta suo malgrado la capitale dell’autoproclamato Stato Islamico (ISIS), muove piccoli passi per provare a tornare come prima.
L’UNESCO sta restaurando il patrimonio artistico di Mosul
Come con una foto strappata, mani pazienti ricompongono lentamente i pezzi di Mosul e della sua antica moschea di Al Nouri, che risale al 1171. Da qui, nel 2014, Abu Bakr al Baghdadi aveva proclamato lo Stato Islamico, facendo precipitare la città nel buio del terrore.
L'inviata RSI Paola Nurnberg a Mosul
“Al Baghdadi aveva parlato da questo punto – indica Uthman, architetto di Mosul - c’era un pulpito alto circa due metri, da dove solitamente l’Imam si rivolge ai fedeli”. Della moschea (fatta saltare in aria dai miliziani in fuga nel 2017), è rimasto ben poco. “Quando siamo arrivati abbiamo trovato una ventina di bombe, che erano nascoste all’interno dei muri, collegate a inneschi che, secondo gli sminatori, avrebbero potuto funzionare anche dopo cinque anni”, dice ancora Uthman.
L'antica moschea di Al Nouri risale al 1171
I lavori di restauro sono iniziati nel 2019, e ridaranno vita anche al minareto pendente di Al Hadba, simbolo non solo di Mosul ma di tutto l’Iraq, tanto da essere ritratto sulle banconote dei dinari, la valuta irachena. Per la responsabile dei lavori dell'UNESCO in Iraq, Maria Rita Acetoso, il patrimonio perduto è inestimabile: "La distruzione dei monumenti è un ulteriore contributo a questo senso di perdita che il conflitto inevitabilmente comporta per la comunità, che ne è in qualche modo afflitta. Mosul storicamente è sempre stata una città multietnica, e una città multireligiosa dove diverse comunità di diverse etnie e di diversi credi religiosi coesistevano in maniera più che pacifica".
I lavori a personale locale
Per far rivivere lo spirito culturale di Mosul l’UNESCO ha deciso di affidare i lavori a personale locale. Sono circa 2'000 le persone impegnate anche nel recupero delle storiche case che circondavano la moschea, con porte e finestre di alabastro. Come quella di Khalida, scappata con la sua famiglia poco dopo la nascita dello Stato Islamico. “Io e la mia famiglia siamo scappati quando sono arrivati i miliziani, dice Khalida mentre mostra orgogliosa la sua casa ricostruita, e siamo ritornati solo nel 2019, quando ho avuto la certezza che il quartiere fosse completamente sicuro, ma ho trovato tutto distrutto…”
Anche Shawqat, cristiano, è fuggito, ma racconta che all’inizio gli sembrava che fosse tutto tranquillo. “Dopo dieci giorni però, i miliziani hanno annunciato dagli altoparlanti della moschea che tutti i cristiani avrebbero avuto 72 ore per lasciare la città. Io sono rimasto, ma dopo due giorni hanno cominciato a derubarci di tutto ciò che avevamo. Soldi, oro…”.
Mosul, i segni della battaglia sono ancora visibili
RSI 24.03.2023, 16:10
La pulizia etnica dell’ISIS nei confronti delle minoranze ha ferito profondamente la comunità di Mosul.
Un'intera memoria da recuperare
Anas, ingegnere, è incaricato del restauro della chiesa cattolico siriaca di Al Tahera, distrutta dai bombardamenti della coalizione durante la battaglia per la liberazione e dove l’ISIS aveva istituito il quartier generale e una prigione. “Non solo io, ma tutti qui si sentono orgogliosi perché sono quasi tutti musulmani e stanno ricostruendo una chiesa. E questo è un messaggio di pace che mandiamo a tutti, invitandoli a tornare nella loro città, specialmente i cristiani. Questo è il loro posto, e vogliamo che tornino”. Molti cristiani - aggiunge ancora Anas - stanno ricostruendo la moschea di Al Nouri.
A mezzogiorno dagli altoparlanti dei minareti i canti dei muezzin si fondono insieme e coprono i rumori dei cantieri appena visitati. Ma gli operai non si fermano, si deve lavorare, perché qui c’è un’intera memoria da recuperare.