Si è aperto nel primo pomeriggio di domenica a Gerusalemme, con la lettura dei capi di imputazione, ed è stato in seguito aggiornato il processo per corruzione, frode e abuso di potere a carico di Benjamin Netanyahu, primo capo di Governo in carica nella storia di Israele a finire in aula per essere giudicato (Ehud Olmert, in precedenza, era stato incolpato e poi condannato, ma solo dopo le dimissioni). Il capo del Likud in mattinata aveva diretto la prima riunione dell'Esecutivo di emergenza, costituito insieme al rivale Benny Gantz dopo 17 mesi di crisi politica e ripetute convocazioni alle urne.
Il 70enne Netanyahu, imputato insieme ad alcuni uomini d'affari, avrebbe ricevuto doni (champagne, gioielli, sigari) in cambio di favori. Avrebbe inoltre tentato di assicurarsi una copertura favorevole da parte del maggiore quotidiano del paese, Yediot Aharonot. Ma soprattutto, avrebbe garantito un trattamento preferenziale al patron della società Bezeq in cambio di un occhio benevolo su Walla, influente sito di informazione. Quest'ultimo punto è il più delicato, ma anche il più difficile da provare, non essendoci tracce di pagamenti materiali, sottolineano gli esperti.
Il 56enne procuratore Avichai Mandelblit, di famiglia di destra e un tempo vicino a Netanyahu, aveva formalizzato le accuse nel novembre del 2019. Sembrava la fine delle ambizioni politiche di "Bibi", come viene soprannominato, che è invece rimasto a galla anche nelle successive elezioni, sebbene incapace di ottenere una maggioranza che gli permettesse di governare ancora da solo.
Il processo, che avrebbe dovuto aprirsi a metà marzo, era stato posticipato a causa della pandemia. Potrebbe durare diversi mesi se non addirittura anni includendo i possibili ricorsi in appello. In Israele il premier non dispone di alcuna immunità, ma la legge non gli impone le dimissioni se finisce sotto processo.